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Nicoletta Sipos il lager a colori e la colpa di sopravvivere

Cesare Cavalleri mercoledì 18 marzo 2020
Dopo la morte della mamma, nel fare ordine e selezione delle cose che sono rimaste, Nives trova in una scatola di latta che un tempo ospitava biscotti, qualche foto e una vecchia lettera di un’amica, Bekka, alla madre. Questa Bekka confida all’amica l’incubo di non aver fatto tutto il possibile per salvare almeno qualcuno dei compagni di Lager, preoccupata unicamente di salvare sé stessa. Nives non aveva saputo nulla dalla madre su questa amicizia, e si sente spinta a rintracciare Bekka, probabilmente ancora in vita. Poche ricerche con l’aiuto di Robert, un ex fidanzato, conducono Nives a Parigi: Bekka è vedova di un pittore di discreta notorietà, Peter Kis, ed è stata pittrice lei stessa. In successive sedute, Bekka racconta le peripezie della sua biografia, e riversa in Nives la confidenza che aveva già sperimentato con sua madre. Ancora un romanzo sugli orrori dei Lager? dirà l’impaziente lettore. Sì, c’è molto orrore di Lager nel romanzo di Nicoletta Sipos, La ragazza col cappotto rosso (Piemme, pagine 320, euro 18,00), ma l’angolazione è inusuale: è il racconto del senso di colpa di chi è sopravvissuto alla strage dei propri famigliari e dei compagni di reclusione, col rimpianto bruciante di non aver fatto nulla per gli altri. Per questo ho chiamato “sedute” i colloqui di Nives con Bekka: hanno molto di psicanalitico. E c’è una domanda tanto più drammatica perché a formularla è un bambino: il fratellino di Bekka, mentre tutta la famiglia è avviata alla deportazione, solleva la questione più amara di tutte: «In che cosa abbiamo sbagliato?». Già, è la tragedia delle vittime che si sentono in qualche modo esse pure colpevoli. La risposta, che non c’è nel romanzo, l’aveva data Gesù citando il Salmo 34 nello sconvolgente discorso dell’Ultima cena: «Mi hanno odiato senza ragione». Non avevi sbagliato nulla, ragazzino ebreo incamminato verso il Lager: sei risucchiato nell’insondabile mistero del male. Ma il male è anche l’odio fra gli stessi reclusi, ciascuno angosciato per sé. In quell’inferno, Bekka, è maltrattata perfino da quella compagna di sventura con incredibili occhi azzurri, e ciò le ha suscitato un improvviso desiderio di vendetta: perché aiutare dannati così cattivi? Il bel cappotto rosso che la sua affettuosa matrigna le aveva regalato alla vigilia della deportazione diventerà per Bekka una sorta di talismano, ma finirà per barattarlo con un loden sdrucito per difendersi da una megera aggressiva. Nel romanzo si intrecciano altre storie. C’è la giovanissima passione d’amore di Bekka e Gábor, troncata dalla meningite fulminante che colpisce il ragazzo; e anche le braci dell’antico fidanzamento di Nives e Robert, entrambi con divorzi alle spalle, ritroveranno la fiamma. A mio gusto, giovani e meno giovani attori nel romanzo, sono tutti un po’ troppo impazienti di condividere il letto. «Restava giusto un po’ di spazio nella borsa di plastica a righe bianche e blu»: è la precisazione del colore delle righe a scandire la differenza fra una scrittrice, Nicoletta Sipos, e una semplice storyteller.