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Netflix e i giovani estremi di “Elite”

Andrea Fagioli mercoledì 10 ottobre 2018
Nel titolo originale, l'ultima “e” di Elite è rovesciata. È un indizio. Non da poco. Potrebbe significare che è un mondo alla rovescia. Per noi, a vederlo da telespettatori, lo è davvero. Non sappiano se lo sia anche per autori e registi dell'omonima serie spagnola a disposizione su Netflix, la piattaforma statunitense della distribuzione via internet di film, fiction televisive e altri contenuti d'intrattenimento che si sta imponendo sul mercato internazionale intervenendo direttamente anche nella produzione. In Elite, diretta da Ramón Salazar e Dani de la Orden, si va giù duro, presentando un mondo giovanile senza valori, tutto sesso, alcol e droga, con sequenze esplicite e tinte forti. La storia è quella di un gruppo di studenti di una scuola esclusiva spagnola, Las Encinas, dove studiano i figli dei ricchi e dei potenti e nella quale arrivano tre ragazzi di famiglie non abbienti per riparare a un misfatto: il crollo della loro scuola. I tre ottengono così una borsa di studio per finire il liceo a Las Encinas. I nuovi arrivati, tra cui una ragazza musulmana d'origine palestinese, scombinano l'apparente vellutato vivere dei figli dei benestanti e squarciano il velo d'ipocrisia che li avvolge. In questo senso, per i creatori della serie, Carlos Montero e Darío Madrona, quella “e” rovesciata significa proprio questo: un ribaltamento con conseguente contrapposizione tra ceti sociali. Ma l'efferato omicidio di una studentessa bene (tra l'altro figlia del costruttore della scuola crollata) renderà tutti i compagni, tra cui il fratello, possibili colpevoli. A quel punto sono messi tutti sullo stesso piano. Ognuno degli studenti, ricco o povero, buono o cattivo, avrebbe avuto un motivo per uccidere la compagna. Tutti, tra l'altro, nascondono comportamenti inconfessabili: furti, spaccio, perversioni sessuali... In base a una filosofia molto semplice: «Se non perdi un po' la rotta ora, quando? Abbiamo tutta la vita per ritrovarci». La scuola, intesa come microcosmo, diventa metafora di un mondo giovanile incerto, ambiguo e sostanzialmente infelice. Ma se tutti i ragazzi tra i sedici e i diciassette anni fossero come quelli di Elite ci sarebbe di che preoccuparsi. Noi ci preoccupiamo, con la speranza, però, che non tutti siano così. E abbiamo la garanzia che non lo sono.