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Nelle «Lamentationes» di Festa echi del Triduo nella Roma del '500

Andrea Milanesi domenica 26 marzo 2006
«Dopo che Israele fu condotto in schiavitù e Gerusalemme fu resa deserta, il profeta Geremia sedette piangendo, proferì questo lamento e disse: "Ah! Come sta solitaria la città un tempo ricca di popolo! è divenuta come una vedova, la grande fra le nazioni; un tempo signora tra le province è sottoposta a tributo. Essa piange amaramente nella notte, le sue lacrime scendono sulle guance; nessuno le reca conforto, fra tutti i suoi amanti; tutti i suoi amici l'hanno tradita, le sono divenuti nemici'». I solchi profondi, scavati nel dolore, del lamento che il profeta Geremia ha innalzato di fronte alla distruzione di Gerusalemme (586 a.C.) acquistano la valenza di un monito universale e senza tempo al pentimento, alla conversione, alla preghiera; parole sempre in bilico tra dramma e poesia, hanno rappresentato nei secoli l'inesauribile fonte di ispirazione per intere generazioni di compositori - da Tallis e Palestrina a Lasso e Carissimi - esercitando un richiamo irresistibile a cui non si è saputo sottrarre neppure Costanzo Festa (ca. 1490-1545), sommo musico che, tra le fila degli sceltissimi componenti della Cappella Sistina, ha prestato servizio sotto quattro diversi pontefici (Leone X, Adriano VI, Clemente VII e Paolo III). Assecondando un'antica prassi, le sue Lamentationes Hieremiae Prophetae venivano tradizionalmente intonate durante i notturni del Triduo pasquale, e del repertorio sacro per la Settimana Santa conservano intatto il carattere sobrio e morigerato. L'ispirata interpretazione offerta da Meinolf Brüser e dall'ensemble vocale Josquin Capella (cd pubblicato da Mgd e distribuito da Jupiter) ne esaspera la cifra intimamente contemplativa, attraverso tempi lenti e calibrati, imposti dagli stessi sentimenti che scandiscono i ritmi del testo; dal pianto e dai sospiri di chi, insieme con la distruzione della propria città, ha perso la libertà, ma è soprattutto cosciente di essersi allontanato da Dio e ne teme la punizione. Nella composta solennità delle Lamentazioni di Festa la musica partecipa così in modo attivo di una domanda che è nel contempo imprecazione, confessione e speranza; paradigma assoluto degli stati d'animo di contrizione, penitenza e fiduciosa attesa che contrassegnano le tappe del cammino quaresimale.