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Nei canti liturgici di Notre-Dame la devozione del basso Medioevo

Andrea Milanesi domenica 26 novembre 2006
«Madre di tutte le arti», «Seconda Atene», «Parigi senza eguali»: in questi termini si esprimeva la meraviglia e l'ammirazione dell'uomo medievale nei confronti di Parigi. Crocevia di commerci e sede di una prestigiosissima università, la città francese esercitava un influsso determinante su ogni aspetto della vita culturale e spirituale europea, dalla speculazione filosofica ai dettami architettonici dello stile gotico, dal pensiero religioso alla teoria musicale. Non fu dunque certo un caso se lungo le rive della Senna ebbe origine uno dei più importanti cambiamenti che riguardarono l'apparato di canti destinato ad accompagnare la celebrazione dei riti liturgici. Se da tempo si era infatti consolidata la pratica di improvvisare una seconda voce che si sovrapponesse alle melodie gregoriane, tale primordiale forma di contrappunto «nota contro nota» conobbe, tra la fine del XII e il principio del XIII secolo, un'evoluzione decisiva grazie al contributo della cosiddetta «Scuola di Notre-Dame», allorquando all'ombra della cattedrale parigina si cominciarono a concepire composizioni di dimensioni e complessità strutturali allora inaudite. Ed è proprio Paris expers paris il titolo del disco (pubblicato da Alpha e distribuito da Jupiter) che l'ensemble vocale «Diabolus in musica» e il suo direttore Antoine Guerber hanno dedicato all'école de Notre-Dame e alla sua straordinaria produzione, ripercorrendo i primi passi dell'avventura della polifonia occidentale attraverso il confronto con i maggiori esponenti della Scuola parigina e con due tra le principali forme compositive da loro utilizzate: il conductus e l'organum, brani a 2, 3 o 4 voci intonanti lo stesso testo su melodie rispettivamente inedite o preesistenti. Un progetto impegnativo, che nulla concede a fantasiose e devianti congetture oggi tanto di moda quando ci si occupa di «Medioevo e dintorni», ma che intende fermare la nostra attenzione sulla genialità e sulla corrispondenza intima di un repertorio che acquista senso compiuto se restituito al suo contesto originario: un'epoca per nulla buia e oscura, in cui l'uomo innalzava immense cattedrali e ne riempiva le volte con ardite geometrie musicali, nate dall'intelletto ma chiamate a cantare la gloria di Dio.