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Minori di mafia. Il sangue non è acqua, ma deve essere pulito

Renato Balduzzi giovedì 2 novembre 2017
Buona eco mediatica ha avuto la Risoluzione, approvata l'altro ieri dal Csm, sulla tutela dei minori nell'ambito del contrasto alla criminalità organizzata. I commenti si sono spesso, e forse inevitabilmente, concentrati soprattutto sul profilo dell'«allontanamento dei figli dai boss mafiosi», lasciando sullo sfondo sia il nucleo della decisione, cioè appunto la tutela dei minori e del loro diritto ad adeguate tutele (inclusa l'opportunità di sperimentare «orizzonti, sociali, culturali, psicologici e relazionali diversi da quelli di provenienza, nella speranza di evitarne la strutturazione criminale e quindi, il più delle volte, il carcere o la morte»), sia la forte preoccupazione del Csm che giustizia e società non siano percepite come distanti, e che la risposta giudiziaria data dai Tribunali per i minorenni si coordini non soltanto con le altre istanze giurisdizionali e con il mondo dell'avvocatura, ma altresì con i servizi sociali, le agenzie educative, il volontariato.
In proposito, non è casuale che proprio dal rapporto virtuoso tra autorità giudiziaria e volontariato siano scaturite quelle buone prassi (a opera soprattutto dei Tribunali per i minorenni di Reggio Calabria, ma anche di Napoli e di Catania) che la Risoluzione consiliare sottopone, con proposte concrete, all'attenzione di Parlamento e Governo. È infatti convinzione unanime dell'organo di governo autonomo della magistratura che i provvedimenti di decadenza o di limitazione della potestà genitoriale, con conseguente affido del minore ai servizi sociali e con collocamento in comunità o in famiglie fuori dalla propria realtà territoriale, non soltanto siano assunti nei casi più gravi di indottrinamento malavitoso, ma che essi vadano compresi, anzitutto dai diretti destinatari, come un esempio dello Stato che ti aiuta e non come una seconda punizione che si aggiunge a quella prevista dal codice penale. Si tratta, cioè, di dare vita a provvedimenti che rispettino, nella forma e nella sostanza, i princìpi costituzionali e che siano coerenti con lo standard richiesto in materia dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.
La strada sembra bene tracciata. In ordine all'educazione dei figli, la nostra Costituzione infatti dà rilievo centrale alla responsabilità genitoriale, per cui, come ha scritto Mario Bessone, qualsiasi provvedimento di interruzione dei rapporti tra la prole e la famiglia del sangue rappresenta indiscutibilmente l'extrema ratio, attivabile (e qui la citazione è un lontano commento di Carlo Esposito) solo in presenza di una generale situazione soggettiva dei genitori che li dimostri inetti a educare. Ora, la famiglia mafiosa, agendo in spregio ai propri doveri di educazione e di salvaguardia del minore, finisce per essere – dice il Csm – una «famiglia maltrattante», nei cui confronti deve essere operata una vera e propria censura. Per dirla con una metafora: il sangue non è acqua, ma deve essere pulito.