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Miele, sarà l'anno del rilancio

Vittorio Spinelli sabato 24 luglio 2004
Grande qualità e prezzi da non disprezzare. In mezzo alle ondate di brutte notizie, anche sul fronte agroalimentare, quella delle ottimistiche previsioni di raccolta e di mercato del miele italiano non può che essere colta più che positivamente. Quella del 2004, infatti, dovrebbe essere una delle annate migliori. Questo, almeno, è il parere dell'Unione Nazionale degli Apicoltori Italiani. Un dato che sarà confermato solamente ad inizio settembre quando, a Montalcino, verrà fatto il tradizionale punto della situazione nel corso della Settimana del Miele. Ma i segnali positivi non mancano. Le prime stime parlano di quantità superiore alla media, sui 110.000/120.000 quintali. Mentre i prezzi all'ingrosso sembrano ormai assestati, dopo i grandi rincari delle passate stagioni. Attualmente il miele di acacia 2004 viene quotato tra 4 e 4,30 euro al chilo; quello di agrumi spunta, invece, prezzi appena più bassi, tra i 3,30 e i 3,40 euro al chilo. Ciò che più consola gli apicoltori, tuttavia, è la qualità del prodotto che appare eccellente. Ad imporre una ipoteca su tutto, sono però le settimane di agosto che, se eccessivamente calde, potrebbero far capovolgere le stime ottimistiche. Basta pensare che l'anno scorso proprio caldo e siccità hanno fatto più danni al comparto di quelli della grandine, compromettendo buona parte del raccolto. Una situazione buona, quindi, quella del miele, anche per altri punti di vista. Basta pensare che il settore ha un suo «indotto» ambientale da non trascurare. L'azione delle api, infatti, crea una catena produttiva che interessa anche altre coltivazioni agricole di non poco conto. In Italia - d'altra parte - si consumano ogni anno quasi 400 grammi di miele a testa, operano circa 75.000 apicoltori (7.500 professionisti), con 1,1 milioni di alveari che ospitano circa 55 miliardi di api, per un fatturato superiore ai 25 milioni di euro. Intanto altre produzione estive sono alle corde. è il caso, per esempio, del grano duro. Nonostante l'aumento della produzione (25% al 2003), la qualità, a causa delle abbondanti piogge e dell'andamento climatico non favorevole, è risultata decisamente non eccezionale, soprattutto in rapporto alle percentuali di proteine. Il risultato? Secondo le indicazione che ha fornito la Cia, i prezzi sono scesi del 30-35% rispetto a quelli dello scorso anno. E non basta perché, sempre stando alla Cia, l'industria di trasformazione starebbe ricorrendo a massicci acquisti sui mercati internazionali, mentre il prodotto italiano rischia di andare invenduto. Una situazione che l'organizzazione degli agricoltori giudica rischiosa al punto tale da aver chiesto l'intervento del Governo. Insomma, anche se non è pensabile che da solo possa risollevare le sorti dell'intera agricoltura, il possibile buon risultato del miele forse non addolcisce totalmente, ma almeno allevia il gusto amaro delle altre produzioni alimentari italiane.