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MicroMega e 35 anni di sinistra smarrita

Alfonso Berardinelli venerdì 14 maggio 2021
La rivista di Paolo Flores d'Arcais "MicroMega" pubblica ora in due volumi un bilancio dei suoi trentacinque anni di attività. Quando nacque, a metà degli anni ottanta, si pubblicavano anche "Linea d'ombra" di Goffredo Fofi, "Laboratorio politico" di Asor Rosa e Tronti (che durò poco) e "Diario" di Piergiorgio Bellocchio e mia, una rivista "fatta in casa" e del tutto marginale, in cui i due direttori erano anche i soli collaboratori. Alle spalle di quelle iniziative c'era il Sessantotto italiano, "il più lungo d'Europa", con le sue origini dei primi anni sessanta, origini neomarxiste, neoanarchiche, antiistituzionali, extraparlamentari, e con i suoi finali esiti settari e terroristici. Il migliore Sessantotto aveva voluto ridefinire confini e contenuti della politica in senso più radicalmente e liberamente sociale (l'immaginazione politica andava rinnovata). Ma poi i modelli organizzativi che avrebbero dovuto dare consistenza e continuità ai movimenti di massa vennero prelevati meccanicamente dal remoto passato bolscevico che aveva già portato in Russia al più atroce e longevo dei totalitarismi.
Le nuove riviste anni ottanta offrivano una nuova gamma di alternative problematiche e di linguaggio, nella speranza di riformulare mentalità e cultura di sinistra. La più giovane, variamente eclettica e culturale fu "Linea d'ombra", mentre "MicroMega" costeggiava e incalzava dall'esterno i partiti comunista e socialista tentando di costringere il ceto politico a riflettere. Il decennio di Craxi, di Reagan, di Margaret Thatcher e del neoliberismo stava spingendo in un angolo una sinistra che non riusciva a fare i conti con la fondamentale trasformazione: l'ingresso della classe operaia in una nuova middle class, allargata e culturalmente trasformata dall'espansione dei consumi. La cultura politica di "MicroMega" subì poi una certa involuzione nel corso degli anni novanta, quando il conflitto frontale fra berlusconismo e antiberlusconismo monopolizzò l'attenzione della rivista limitandone molto, credo, la capacità di analisi sociale e culturale. Il vero problema per la sinistra non erano né Berlusconi né la Lega, erano i loro elettori.