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MemoriaTre anni dopo: Capotosti e il sogno di un ordinamento normale

Renato Balduzzi giovedì 3 agosto 2017
Tre anni fa, in agosto, moriva all'improvviso, durante una breve vacanza in montagna, il professor Piero Alberto Capotosti, già presidente della Corte costituzionale e vicepresidente del Csm. L'Associazione "Vittorio Bachelet", della quale Capotosti fu, negli ultimi anni della lunga presidenza di Giovanni Conso, una sorta di co-presidente effettivo, gli dedicherà in autunno il proprio evento annuale (con la prevista partecipazione del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella). Vorrei qui ricordare di Piero Alberto il suo «sogno di un ordinamento normale», come lo chiamò qualche mese dopo la morte un suo grande amico e collega, il professor Ugo de Siervo. Nel suo desiderio di normalità per il nostro ordinamento, Capotosti non indulgeva a nessuna esterofilia. Da attento conoscitore della comparazione costituzionale, sapeva individuare singoli istituti propri di altri ordinamenti (sfiducia costruttiva, patti di coalizione, regole elettorali premianti) che, con idonei accorgimenti e adeguamenti, avrebbero potuto concorrere a migliorare il funzionamento del nostro sistema, renderlo più «normale». Normale nelle regole elettorali, ponendo l'elettore arbitro tra coalizioni (secondo il titolo del noto volumetto del 1988, scritto con Roberto Ruffilli). Normale nel funzionamento della forma di governo, attraverso teoria e pratica di accordi di coalizione, grazie ad adeguate regole organizzative e di funzionamento, convenzionali, ma capaci di ambire a qualche forma di stabilità giuridicamente rilevante. Normale nell'esperienza della giurisdizione.
In una relazione del 2007 sul ruolo del giudice (muovendo proprio dal pensiero di Bachelet), a proposito dei conflitti tra magistratura e politica Capotosti, premessa la necessità di un doveroso riserbo da parte del magistrato, non esita a individuare nella sollecita apertura da parte del Csm di "pratiche a tutela" lo strumento utile «per tutelare l'onorabilita di singoli magistrati che si trovino particolarmente esposti a diffusi attacchi critici», sempre riaffermando la necessità che sia rispettato «il doveroso principio di impersonalità del magistrato che conduce le indagini».
Il ricordo potrebbe continuare, estendendosi a un Piero Alberto intimo e meno conosciuto, su cui però ben di più potrebbe dire la professoressa Angela Del Vecchio Capotosti, consorte dell'intera vita: la sua proverbiale riservatezza, insieme a movenze naturalmente felpate, celavano una forte tempra morale e una grande libertà interiore (quella del «liberi sunt fili» di Gv 8). Perciò ricordare Piero Alberto Capotosti è anche ricordare il suo sogno di un ordinamento normale e battersi per esso.
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