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Medaglia del Pontificato per le migrazioni Un simbolo di umanità

Salvatore Mazza sabato 29 luglio 2017
Una barca che sembra quasi un guscio di noce, carica di gente, sullo sfondo. In primo piano una donna con un bambino e, accanto, un uomo «che assomiglia a Cristo», che si sporge per afferrare la mano che un altro uomo gli tende dalla riva. È la medaglia del quinto anno di pontificato di Francesco, che ci riporta alla tragedia dei migranti. Tragedia profondamente scolpita nel cuore di un Pontefice che, non a caso, volle che fosse Lampedusa la meta dei suoi primi passi fuori dal Vaticano. Un viaggio per denunciare la disumanità delle condizioni che spingono migliaia di persone ad abbandonare la propria terra. Una presa di posizione, quella di Francesco, certamente non facile, specie in un contesto in cui le spinte alla chiusura di fronte alla sofferenza di tanti rappresentano la pastura per troppi populismi. Ma, altrettanto certamente, non irragionevole: «L'Europa – disse a Strasburgo il 25 novembre del 2014 – sarà in grado di far fronte alle problematiche connesse all'immigrazione se saprà proporre con chiarezza la propria identità culturale e mettere in atto legislazioni adeguate, che sappiano allo stesso tempo tutelare i diritti dei cittadini europei e garantire l'accoglienza dei migranti: se saprà adottare politiche corrette coraggiose e concrete che aiutino i loro Paesi di origine nello sviluppo socio politico e nel superamento dei conflitti interni». Parole che si innestano direttamente in quelle che nel 2009 Benedetto XVI, davanti agli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, pronunciò sottolineando come «occorre augurarsi che i bisogni di coloro che emigrano siano presi in considerazioni da legislazioni che facilitino il ricongiungimento familiare e concilino le legittime esigenze della sicurezza e quelle dell'inviolabile rispetto della persona umana». Tutto questo perché, come ancora papa Ratzinger aveva osservato parlando ai ragazzi dell'Azione Cattolica, «tanti uomini, donne e giovani… hanno bisogno di non perdere speranza, di non barattare la loro dignità. Hanno bisogno di pane, di lavoro, di libertà, di giustizia, di pace, di vedere riconosciuti i propri inderogabili diritti di figli di Dio». E come, allora, è possibile ignorare il richiamo di Papa Bergoglio quando, nella Laudato si', afferma che «la mancanza di reazione di fronte a questi drammi dei nostri fratelli e sorelle è un segno della perdita di quel senso di responsabilità per i nostri simili su cui si fonda ogni società civile». Come, soprattutto, si può restare indifferenti alla sua domanda di fondo: «"Perché loro e non io?" Anch'io – ha detto lo scorso aprile – sono nato in una famiglia di migranti... Mio papà, i miei nonni, come tanti altri italiani, sono partiti per l'Argentina e hanno conosciuto la sorte di chi resta senza nulla. Anch'io avrei potuto essere tra gli scartati di oggi. Perciò nel mio cuore rimane sempre quella domanda: "Perché loro e non io?"». Ha detto una volta Benedetto XVI: «Gesù ha voluto prendere il volto... di tutte le persone che soffrono o sono messe da parte. E, il comportamento che noi abbiamo nei loro confronti sarà dunque considerato come il comportamento che abbiamo nei confronti di Gesù stesso». Quel volto che oggi ritroviamo sulla medaglia commemorativa del quinto anno di pontificato. Incisa nel metallo a ricordare che l'accoglienza non può essere qualcosa da mettere sul piatto di una qualunque trattativa, ma un imperativo che precede qualunque calcolo.