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Maurensig mette d'accordo cani, gatti e topolini

Cesare Cavalleri mercoledì 10 dicembre 2014
Gli scacchi sono il talismano, la costellazione propizia di Paolo Maurensig, dopo il folgorante esordio, a cinquant'anni, con La variante di Lüneburg (1993), romanzo imperniato appunto su un'esiziale partita a scacchi.Dal nuovo libro, Amori miei e altri animali (Giunti, pp. 160, euro 14) apprendiamo che a iniziarlo bambino all'algebrico gioco fu un barone austriaco, marito di una cugina, il quale non seppe mai che la torre scomparsa dalla sua preziosa scacchiera era stata clandestinamente sotterrata, rosicchiata come un osso, dal gigantesco schnauzer grigio che assisteva alle partite con snobistico sussiego.Già, perché il libro racconta di cani e di gatti amati dallo scrittore, interessato anche a storie di cani e gatti altrui. Ma non solo di scacchi Maurensig è competente: anche di musica barocca, specialmente eseguite dal flauto traversiere preferito da Bach, strumento che non viene prodotto in serie, e quindi è di difficile reperimento oltre che salato di prezzo. E così Maurensig ha deciso di costruirsene uno, dopo essersi procurato attrezzi non ordinari come un'alesatrice su misura, e una punta di trapano a forma conica, allestendo un laboratorio in soffitta.E proprio mentre saggiava qualche brano musicale per conferire al flauto «il giusto temperamento», ebbe modo di riscontrare sul campo la veridicità del Pifferaio di Hamelin raccontato dai fratelli Grimm: «Dapprima uno solo, poi due, e infine un'intera dozzina di topolini, accorsi da ogni parte attraverso i tetti, si mettevano in fila, sporgendosi dal bordo dell'abbaino per seguire il mio concerto con estrema attenzione».E veniamo ai personaggi principali del libro, cioè ai cani e ai gatti. Nei quindici capitoli incontriamo cani di ogni razza e indole: cani tenerissimi con le persone e implacabili con gli altri animali, come Dalmazia, squartatrice di barboncini; cani che non perdonano le offese, come il vecchio Boby che, gettato oltre il muro di cinta di un canile, percorse molti chilometri per tornare a casa e rifiutò le moine delle padrone, pentite, per poi andare a morire chissà dove.Tale è l'amore di Maurensig per i cani che è disposto a tollerare anche le loro intemperanze e a giustificare i guai che combinano. Però, benché il capitolo più lungo sia dedicato a Joyce (nome femminile, l'autore dell'Ulysses non c'entra), meravigliosa e affettuosa golden retriver, sotto sotto si intuisce che lo scrittore preferisce i gatti: preferenza da me condivisa, perché il cane è troppo «umano», mentre la bella indipendenza del gatto lo rende creatura nobile e spavalda (A proposito: mai allarmarsi e soprattutto mai chiamare i pompieri se un gatto si è arrampicato su un albero troppo alto e sembra in difficoltà nella discesa. Lo sa ben lui come cavarsela, e i pompieri, spaventandolo, lo farebbero salire ancora più su).Lo stile di Maurensig qui è piano, diaristico, senza ricercatezze. Ma la tempra dello scrittore ogni tanto vien fuori, per esempio quando liquida la sorella di una cognata altrui che «si vantava di dire ciò che pensava, ma in realtà non pensava affatto»; oppure quando fa ragionamenti di questo tipo: «Ogni specie, estinta o in via di estinzione, è come l'ideogramma di una stele che, invece di essere riportata delicatamente alla luce con un pennello di setola, viene frantumata con un mazzuolo»; o quando descrive i «sorrisi dilapidati» di certi vecchi visti (o forse sognati) intorno a un tavolo imbandito in mezzo al bosco.Il libro, che non ha sdolcinature animaliste, piacerà a chi condivide con Maurensig l'amore per cani e gatti, e piacerà anche a chi non li ama, perché se non altro si renderà conto di quanto finora si è perso, con possibilità di recuperare o, almeno, di condividere.