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Maran, non ride sotto il baffo Ma il Cagliari mette allegria

Italo Cucci martedì 26 novembre 2019
Con quel baffetto rosso sulla guancia Rolando Maran è meno surgelato del solito. È il suo stile, che farci? Una volta andai a Cittadella, una delle sue piazze, e chiesi a un collega se si riusciva a fare una cena insieme, mi invogliavano le cene venete a partire da quelle luculliane a casa di Giussy Farina. «Cena veneta? Maran è di Trento». E così fu spogliato in un attimo di tutto il buonumore che m'ero immaginato. Gli farebbe bene, sorridere spesso, perché i critici sarebbero con lui meno severi. Rammentano i suoi numerosi esoneri piuttosto che i successi ottenuti. Quando Corioni lo licenziò a Brescia mentre stava andando bene e gli preferì Zeman «che lo rallegrava» telefonai all'amico che aveva inventato Maifredi e gli chiesi dove e come trovava Zdengo allegro. «Nel calcio», mi rispose. E infatti fu un disastro. Il Cagliari di Maran non è allegro: è quadrato, potente come Nainggolan, fascinoso come Joao Pedro. Mi sono messo in testa di seguirlo per distrarmi dalla noia di un'Inter-Juve senza fine. E senza qualità di squadra - essendo entrambe affidate a colpi personali di Lautaro, Lukaku, Higuaín e Dybala - contrariamente a
quanto promesso da Sarri che a Torino ha trovato ciò che aveva trovato prima di lui Conte: l'ordine di vincere. Il Cagliari è anche una speranza di veder fallito il disegno del campionato-fatturato, quello inventato da De Laurentiis che sta portando il Napoli fuori onda: i suoi “ragazzi” sono partiti ch'erano calciatori, sono diventati ricchi e non amano faticare come un tempo. I nuovi padroni del Cagliari, subentrati al fantasticante e tellurico Cellino, lavorano seriamente in uno dei rari paradisi del calcio dove ho visto diventare saggi anche Scopigno e Domenghini, ch'è tutto dire. Ho fiducia in una squadra di provincia, come fu cinquant'anni fa, quando non solo Gigi Riva, ancora privo del luminoso sorriso del vincitore, affascinava gli italiani d'ogni colore, ricevendo in cambio uno storico tricolore; personalmente ritrovai una Squadra come quella di Bernardini che mi aveva affascinato, il Bologna, vincitore di uno scudetto senza divi, esclusi Haller e Nielsen, cosí come a Cagliari c'erano solo Albertosi e Riva, Ricky e Gigi. Questo Cagliari - undici partite utili consecutive - ha giocatori di calcio ottimi come Cacciatore, Cigarini, Rog e Simeone, un eccellente, Joao Pedro, e il divo sdivizzato Nainggolan, quello che all'Inter passò come «Orlando che ismarrito aveva il cervello». Non faccio scommesse, mai. Mi piacerebbe che questo Cagliari restasse fino in fondo in Zona Europa.