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MagistraturaSenza una nuova stagione dei doveri, anche i diritti sono a rischio

Renato Balduzzi giovedì 1 giugno 2017
La magistratura associata è, da molti decenni, una realtà di grande interesse, oggetto di valutazioni spesso discordanti nel dibattito pubblico. Nei giorni scorsi si è svolto a Napoli il primo congresso nazionale di una delle "correnti" in cui si articola l'Associazione nazionale magistrati, quella di Area democratica per la giustizia, nella quale confluiscono note esperienze precedenti: un gruppo dunque rilevante, che, tra l'altro, oggi esprime il presidente in carica dell'Anm.
Come già in occasione di analoghi incontri, ho avuto modo di constatare lo sforzo, indubitabilmente sincero, di un'interpretazione culturale "alta" della giurisdizione da parte dei magistrati associati: una consapevolezza e un attaccamento, anche orgogliosi, alla propria professione. Vorrei poi sottolineare la fedeltà senza sconti al modello costituzionale di magistratura, che implica il rifiuto del carrierismo e di una visione rigidamente gerarchica dei rapporti interni agli uffici giudiziari e l'attenzione posta ad alcune aree di debolezza nel rapporto tra giurisdizione e società: anzitutto l'organizzazione degli uffici e delle dinamiche processuali, il nodo irrisolto della magistratura onoraria, senza dimenticare le aree più delicate (giustizia minorile, riconversione o.p.g.), dove vengono in campo le posizioni dei più deboli.
Mi permetterei una sola osservazione, naturalmente rispettosa e costruttiva. Nei diversi interventi ascoltati a Napoli ricorreva, come denominatore comune, l'enfasi sui diritti e sulla magistratura come baluardo degli stessi. Ora, nessun dubbio che l'attuazione dei diritti e, prima ancora, la loro progressiva individuazione costituiscano un obiettivo irrinunciabile del sistema costituzionale, ma è altresì indubitabile che tale sistema sia fondato sulla stretta correlazione tra riconoscimento e garanzia dei diritti, da un lato, e adempimento dei doveri di solidarietà, dall'altro (da intendersi non, paternalisticamente, come obbligo calato dall'alto e dall'esterno, ma come proiezione orizzontale della relazione sociale). In una società venata da un eccesso di individualismo e caratterizzata dalla diffidenza reciproca tra individui e tra gruppi, la pedagogia dei doveri si impone: non si dà effettivo diritto al lavoro senza dovere di lavoro, all'ambiente salubre senza dovere quotidiano di proteggerlo, alla tutela della salute senza il correlativo dovere di prevenzione rispetto ai fattori di rischio.
Autentico "progressismo" significa oggi capacità di fondere il discorso dei diritti e la pratica dei doveri. Non sarebbe male se, anche su questo, si riuscisse ad aprire un confronto culturale.