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Ma vent'anni non sono bastati a capire e curare quella ferita

Umberto Folena martedì 14 settembre 2021
Vent'anni dopo l'11 settembre, a scorrere i quotidiani la sensazione è che per un bilancio davvero lucido di quanto accadde occorra ancora tempo, e non poco. Se una parola ricorrente c'è, essa è “paura”. Ma con accenti diversi. Annota la scrittrice Siri Hustvedt (“Corriere”, 11/9): «Il massacro dell'11 settembre e la successiva guerra al terrore non hanno creato il trumpismo, ma la paura diffusa, accompagnata da leggi autoritarie per sgominare il terrorismo concepito come fenomeno esclusivamente esterno, ha accecato molti, spingendoli verso una minaccia molto più temibile e antica: terroristi antidemocratici, americani, bianchi e razzisti come quelli che hanno assaltato il Campidoglio il 6 gennaio sventolando vessilli sudisti». Sfumature diverse nel parere del filosofo della politica Michael Walzer, intervistato da Anna Lombardi (“Repubblica”, 11/9): «La paura è entrata nella nostra psiche (...). Ma non condivido il pensiero di certi opinionisti, secondo cui le attuali divisioni del Paese hanno radici in quella tragedia e nella politica estera successiva. La paura che regna oggi è alimentata dal razzismo». Massimo Gaggi (“Corriere”, 11/9) conclude: «L'America di oggi è anche questa: frastornata da due decenni di guerre inconcludenti che l'hanno indebolita politicamente, economicamente e moralmente».
Il bilancio rimane incerto ma, per Gad Lerner (“Fatto”, 10/9), «questo lo possiamo senz'altro dire: nei vent'anni seguiti all'11 settembre la democrazia è indietreggiata in tutto il mondo, occidente compreso». Sono stati vent'anni irrisolti, come sottolinea la “Stampa”, il quotidiano che sabato scorso, 11 settembre, ha compiuto la scelta editoriale più decisa, dedicando all'anniversario una copertina di quattro pagine, in cui la parola chiave non è “paura”, ma la sua cugina “odio”. Scrive Massimo Giannini: «Come vent'anni fa, continuano a odiarci. A giustiziare comici, a torturare giornalisti, lapidare donne. Ma pare non sia più affar nostro (...). Dobbiamo solo sperare di non tornare a Churchill: “Potevate scegliere tra il disonore e la guerra: avete scelto il disonore, e avrete la guerra”». Gli fa eco Domenico Quirico: «Ammettiamolo: c'è un mondo che ci odia, e che in questi anni si è fatto più grande. E il suo odio è lento e paziente».