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Ma pubblico non è solo statale E non per tutti l'immagine è tabù

Gianni Gennari martedì 3 marzo 2015
Deficit reali: ogni tanto ritornano. Ieri, per esempio, leggi Pippo Civati: «Sono per sostenere la scuola pubblica» (“Repubblica”, p. 20)! E proclami simili ieri e da sempre da chi «non accetta i meccanismi di finanziamento della scuola paritaria». Stessa pagina, stesso tema, leggi che «È battaglia». Sarà tra soldatini di piombo? Possibile che Civati e troppi con lui, moderni, informati, esperti, non abbiano ancora saputo che da ben 15 anni per legge del Parlamento in cui siedono, e firmata dall'allora ministro Luigi Berlinguer la scuola pubblica italiana è anche quella paritaria? Possibile che non vedano che si studia il modo per servire la libertà delle famiglie e la tenuta dei conti pubblici? Evidente il buco, finto o reale: pensieri tipo gruviera. Deficit finto? Forse. Un altro vero: guardando all'islam e alla furia iconoclasta dell'Is leggi spesso (anche su “Repubblica”, 28/2, Salvatore Settis) che la proibizione delle immagini «affratella le religioni del Libro (ebraismo, islam e cristianesimo)». E la ricchissima iconografia cristiana? Mah… E non trovi mai evidenziata una sostanziale differenza: nella Scrittura ebraico-cristiana il divieto delle immagini non è un tabù sacrale, ma la conseguenza del fatto che il Dio di Israele è «voce che parla» (Dt. 4, 12), e poi rivelato in Gesù Cristo è Esso stesso Parola che va ascoltata e seguita dalla fede che esegue. Per la Bibbia farsi una immagine di Dio vuol dire toglierGli la parola e ridurLo a «idolo muto». Egli invece parla: «Ascolta Israele!». Di più e più profondo: già per gli ebrei, e poi esplicitamente per i cristiani la vera immagine di Dio (Gen. 1, 26) è l'uomo creatura, e perciò le divine «Dieci Parole» del Patto mosaico subito dopo aver ricordato che Dio non vuole immagini richiamano sempre all'uomo: farlo riposare, onorarlo nel padre e nella madre, non ucciderlo e così via. Che deficit pesanti…