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Ma infine ci verrà chiesto che cosa non abbiamo fatto

Maria Romana De Gasperi sabato 18 marzo 2017
Luca Gallesi
La “mediocrazia” non è il governo dei mass-media, come un lettore frettoloso potrebbe immaginare, bensì la dittatura dei mediocri; qualcosa di simile, insomma, alla Prevalenza del cretino teorizzata da Fruttero e Lucentini o alle “leggi fondamentali della stupidità umana” dimostrate da Carlo M. Cipolla nel suo indimenticabile Allegro ma non troppo. Il libro di Alain Deneault, intitolato appunto La mediocrazia (Neri Pozza, pagine 240, euro 18,00), non è, però, né una raccolta di brillanti pezzi giornalistici come il best seller di F&L e neppure una esercitazione di efficace retorica come il saggio del professor Cipolla, ma una documentata analisi della tragica situazione politica, economica e soprattutto finanziaria del mondo contemporaneo. L'autore è un filosofo canadese, che insegna Scienze politiche all'Università di Montreal e che da molti anni studia le politiche governative e fiscali dei cosiddetti paesi liberi e liberali, due termini che non sono affatto sinonimi, come il saggio dimostra brillantemente. L'esaltazione della tecnica, la celebrazione della specializzazione, l'atomizzazione della società, la dissoluzione di qualsiasi corpo intermedio e, su tutto, l'idea che ogni realtà possa e debba essere interpretata solo secondo le “leggi di mercato” non ci hanno reso affatto più liberi, anzi, secondo Deneault ci hanno trasformato tutti in schiavi. La prova? Abbiamo addirittura elevato al rango di soggetto sociale “il mercato”, entità misteriosa e onnipotente, regolata da una finanza disumanizzata, dove imperano algoritmi che spostano, in millesimi di secondo, incommensurabili ricchezze virtuali in grado di polverizzare, con un tasto, l'economia di un intero continente. Come questo sia potuto succedere, non è cosa difficile da scoprire: tutto merito dell'inarrestabile ascesa dei mediocri, tipo umano che da parecchi decenni dilaga in tutti i campi dell'agire umano, dall'università alla politica, dal commercio alla finanza, che, grazie al potere illimitato del denaro, è il vero arbitro dei nostri destini. Messi da parte i libri impegnativi, i nostri universitari si accontentano dei libri contabili; eliminato il piacere di un lavoro ben fatto, ai funzionari resta la noia di un impiego ripetitivo; evitati gli obiettivi faticosi ma entusiasmanti, ci si applica tutti con impegno a essere uniformi; bisogna “restare al gioco” e seguire l'“esperto”, che ci rassicura col suo gergo difficile ma invitante, illudendoci di far parte di coloro che sanno, anche se in realtà non sappiamo proprio nulla, come dimostra il sistematico ripetersi di crisi sempre uguali e sempre più gravi. Nulla sembra sfuggire al dilagare di questa pericolosa mediocrità: dai risparmi della piccola famiglia alle risorse naturali del nostro pianeta siamo tutti vittime dall'avidità dei potenti. Lo stesso meccanismo di spoliazione che distrugge le banche europee e le nazioni africane dilaga anche nel mondo più astratto del sapere, dove le università non sono più il luogo dove le risorse della mente vengono aiutate a svilupparsi; oggi, nelle aule universitarie la ricerca non è libera né autonoma, ma è indirizzata, sponsorizzata e addirittura creata dai potentati economici, che trasformano delle ricerche pubbliche in risultati vantaggiosi per il privato. Come reagire? Soluzioni, il libro non ne offre. Al più, un auspicio: che tutti, nel loro piccolo, denuncino e soprattutto combattano la mediocrità, ciascuno a partire da se stesso.