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Ma i libri fanno bene davvero?

Goffredo Fofi venerdì 30 dicembre 2016
Tra le strenne librarie del Natale 2016 due, assai diverse tra loro, parlano dell'importanza dei libri (della cultura) nella nostra vita. Si tratta del voluminoso e appassionante viaggio nella cultura di tutti i tempi, libri ma anche musiche e dipinti,
dal titolo Lettori selvaggi (Giunti) affrontato da Giuseppe Montesano, insegnante di liceo dalle parti di Napoli, ottimo critico e anche per questo ottimo narratore, tra i pochi che resteranno del nostro tempo cialtrone; e si tratta di una nuova edizione di Curarsi con libri (Sellerio) di due signore inglesi, tali Berthoud e Elderkin, per buona parte dichiaratamente frivolo, curata ancora da Fabio Stassi che ne è di fatto co-autore e che scrive anche lui, ma talvolta dimenticandosi del mondo. Davvero i libri possono curare le nostre malattie, i "disturbi" di una società pur sempre malata, e malata all'origine di disuguaglianza e conseguente violenza? Nelle sue aggiunte italiane, Stassi dice di aver rintracciato tra le malattie o piuttosto epidemie indicate dagli scrittori italiani «la peste della burocrazia, il narcisismo, la deformità del potere, la falsificazione della Storia, l'indecente e complice ammirazione della furbizia, il culto e l'esibizione della virilità, l'ipnotico consenso a un capo, l'alfabeto del servilismo, lo specchio delle dicerie, la fede nella superstizione» e mi fermo qui, ché l'elenco continua…
Ma sappiamo che il mondo non è migliorato grazie ai libri. I libri aiutano dunque a vivere ma non aiutano a guarire? Ma guariscono i libri, anche i più profondi e puri nelle loro denunce di ciò che nell'esperienza umana e sociale non funziona? Il gioco di abbinare alle malattie della coscienza i rimedi letterari è divertente, ma convince poco, e trovare i libri che possano contrastare i nostri o altrui dolori, soprattutto fisici, è, appunto, soltanto un gioco. O un esorcismo. Montesano cita Céline, quando diceva che «a Bisanzio discutevano del sesso degli angeli mentre i Turchi stavano già spaccando le mura». La quasi totalità della produzione letteraria odierna non salva niente e nessuno, e come sempre, se «la Parola non si fa Carne» e intervento, il rischio è la chiacchiera. La vita è altrove, diceva Rimbaud, sempre citato da Montesano, che però ricorda come Socrate, condannato a morire, diceva giunto il tempo di imparare a suonare il flauto. Non è questa la condizione a cui rispondono gli scriventi di oggi, che scrivono quasi tutti solo per guarire dalla malattia dell'anonimato e della noia, suonando in massa stonatissime trombette da fiera, ma chiamandole flauto. Quanti, tra loro, pensano a difendere le mura della città, la salvezza della buona convivenza, dai massacri quotidiani che compie la Storia?