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Ma è in Romagnail cuore vero dei wafer

Paolo Massobrio, Giorgio Calabrese venerdì 23 gennaio 2004
Il nome wafer, battezzato in Inghilterra, deriva dalla somiglianza con il favo del miele. Ed è una fragranza assoluta da cui tuttavia occorre saper discernere bene il grano dal loglio. Innanzitutto gli ingredienti: farina, zucchero a velo, uova, lievito di birra, bicarbonato e vaniglia. Il metodo di cottura è simile a quello delle cialde, con una veloce scottatura che solidifichi l"impasto; dopodiché i fogli sottili di cialda vengono tenuti insieme da uno o più strati di crema. E qui iniziano le differenze. Anche perché se ci pensiamo bene, è improbabile che la freschezza dei wafer possa rimanere intatta a tutte le temperature ed in ogni stagione, a meno che non si adoperino adeguati conservanti. Il re dei wafer in Italia sta a Bertinoro, nell"entroterra romagnolo, dove accanto ai vini che hanno il sapore schietto e dolce dell"Albana, nasce un biscotto di una raffinatezza unica. Il capostipite fu Attilio Babbi, scomparso solo tre mesi fa, all"età di 96 anni, e fondatore di un"azienda di coni, cialde e semilavorati per maestri gelatieri. Ma la passione ed il genio li applicò soprattutto nei Viennesi, che è un wafer quadrato, ricco, ricoperto di fine cioccolato, che Babbi volle confezionare addirittura in speciali scatole di mogano. Quindi i waferini, che sono più piccoli delle pezzature conosciute, confezionati in scatole di latta e caratterizzati da una crema che li rende talmente freschi da sciogliersi letteralmente in bocca. Il terzo prototipo è il Babbino, una via di mezzo tra i due celebri prodotti, ma sempre caratterizzato da quella freschezza che sarà un paradigma di qualità per chi avrà il piacere di assaggiarli. Ora, Attilio Babbi ha sempre prodotto queste fragranze solo da ottobre ai primi di marzo, perché il caldo avrebbe inficiato il prodotto. La stessa confezione, poi, è l"unico protettivo concesso per evitare l"umidità e per mantenere la fragranza della cialda, che diventa superba quando affoga in una cioccolata calda. Dal punto di vista dell"abbinamento col vino, un prodotto di tale finezza, segno del genio italiano per il gusto, lo trovo adatto soltanto con un bicchiere di Picolit. In mancanza, non disdegnate una buona Albana, ma non nella versione passita.