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Ma anche gli orfani possono essere felici (a volte)

Cesare Cavalleri mercoledì 23 gennaio 2013
Filip, Barnabás, Árpád, Laci, Fábián, Jonatan, dove siete, che ne è stato, che ne sarà di voi? Ci siamo affezionati ai ragazzini dell'orfanotrofio di Landor, che vivono nel nuovo, bellissimo, commovente, felice romanzo di Nicola Lecca, La piramide del caffè (Mondadori, pp. 240, euro 17). E, prima di noi, a loro è rimasto affezionato Imi che, a diciott'anni, ha lasciato l'orfanotrofio per imparare la vita a Londra, assunto in prova alla Proper Coffee, la grande catena di caffetterie che per il ragazzo è l'inizio di un sogno a cui seguirà l'inevitabile, drammatico risveglio.Da Londra, Imi scrive ai suoi ex compagni, manda dei regali, non li dimentica. E ci voleva la sensibilità di Nicola Lecca, autore giovane di parecchi libri, fra cui l'indimenticabile Hotel Borg (2006), per insegnarci che la felicità può trovar posto in un orfanotrofio, parlandone dal vivo perché, scrittore giramondo quale egli è, ha scelto di dedicare cinquecento giorni, dal 2005, a un orfanotrofio ungherese vero.Sono bambini con alle spalle storie tremende, gli orfani di Landor. Filip e Bernabás (di 10 e 11 anni) non sanno che la loro mamma non è a Vienna per lavoro, come gli hanno detto, bensì in carcere perché ha affogato nella vasca da bagno il loro ultimo fratellino, gettandolo poi nel fiume in un sacchetto di plastica.E lo stesso Imi è stato abbandonato dalla mamma a pochi giorni dalla nascita, perché piangeva troppo e disturbava i clienti. Clienti? Sì la mamma era una prostituta, ma Imi preferisce immaginarla cassiera di un bar, e si sente colpevole perché se fosse stato meno piagnone, la mamma l'avrebbe tenuto con sé.Ognuno di questi ragazzi porta le sequele di traumi d'abbandono. Lo stesso Barnabás, che è fra i più spavaldi e intraprendenti, deve prendere la pillola gialla per prevenire l'enuresi notturna. Eppure i piccoli orfani sono a loro modo felici, perché vivono istante per istante, spremono la vita per quello che può dare, felici per una festa di compleanno, felici per un regalo barattato fra loro, e si aiutano, si proteggono, assistiti con amore da Ada neni, Berta neni e le altre neni ("zie") che si dedicano a loro.Imi, a Londra, imparerà ben presto che la Proper Coffee, con le sue divise eleganti, i sorrisi professionali, è una catena di sfruttamento che non rispetta le persone, diretta da ottusi imbecilli che difendono le loro misere posizioni di potere. Sarà Jordi, il giovane collega spagnolo, ad aprirgli gli occhi e sarà Morgan, l'amico iraniano commesso di libreria, a salvarlo dal precipizio al cui orlo era stato condotto dalla sua intatta moralità, facendo intervenire addirittura una scrittrice premio Nobel per un accorato lieto fine che naturalmente non va rivelato.Il romanzo non nasconde le atrocità da cui spesso distogliamo il pensiero. Tremenda, per esempio, la storia di Jonatan, il bambino maltrattato che pure ama il padre aguzzino, ma che, a un certo punto, maturerà dentro di sé un fermo proposito di vendetta. Eppure, nonostante tutto, il romanzo insegna che la vita vince sempre, che i veri orfani sono coloro che non sanno amare, anche se sono ricchi e potenti, e che certe strutture della modernità stritolano l'uomo illudendo di affrancarlo. Senza manifesti, senza proclami, la sensibilità di Nicola Lecca, con una scrittura esatta come un cristallo, dimostra che l'importante, d'attimo in attimo, è l'emozione condivisa che nasce dalla vita buona, nutrita di sentimenti. Per dirla ancora una volta con Ezra Pound, «ciò che conta è la qualità dell'affetto».