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Ma al ristorante il bonus Covid non può bastare

Paolo Massobrio mercoledì 29 luglio 2020
Il segreto della buone pratiche è parlarsi. Viene da pensarlo dopo l'incontro di lunedì fra la viceministra dell'Economia Laura Castelli e il vicepresidente della Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) Aldo Cursano. Due ore di colloquio che hanno seppellito le battute infelici, divenute virali, circa la necessità dei ristoratori in crisi di cambiare mestiere. Nel frattempo il mugugno fra gli addetti ai lavori aveva prodotto la protesta dello chef Gianfranco Vissani sul fatto che i politici non pagano i conti, fino al cuoco romano Valerio Laino che nel suo locale aveva appeso il cartello: «Non è gradita la presenza di politici». Segni di evidente tensione che come contropartita hanno prodotto una cesta di belle promesse, tutte attese per il "decreto di agosto". Una è il bonus ristoranti, ossia la possibilità per le famiglie di detrarre il 20% delle spese sostenute al bar o al ristorante. Ma non è finita, perché anche il ministro Bellanova avrebbe messo sul piatto un miliardo di euro per garantire un bonus a fondo perduto di cinquemila euro agli esercizi che acquistano prodotti italiani. Una proposta che – è agli atti – lanciai nel 2001, allorché fui invitato in qualità di esperto al Forum nazionale sull'Agroalimentare italiano. Sono passati quasi vent'anni per accorgersi, grazie al Covid, delle necessità di un patto fra ristorazione e agricoltura, per garantire non solo la possibilità di rinsaldare la filiera ma anche quella di produrre una cucina italiana autentica che si alimenta dei prodotti territoriali e stagionali. Culturalmente la proposta del ministro Bellanova è nobile, anche se tardiva, ma nel pratico rischia d'essere una delle tante gocce tampone distillate da un governo che dovrebbe mostrare una strategia ben più ampia. Quali sono i punti di forza di un Paese che vuole rilanciarsi? Se il turismo è uno di questi e l'enogastronomia viaggia a braccetto, bisogna pensare ben oltre la fine del 2020, sennò si ritorna al via. Del resto non possiamo nascondere che, se lo smartworking diventerà sistematico, l'asse di domanda e offerta cambierà e allora davvero non ci saranno più palliativi: qualcuno sarà costretto a cambiare mestiere. In tal senso c'è da chiedersi che analisi si sta facendo, a partire dalle grandi aziende, sulle intenzioni di smartworking nel breve e medio periodo.