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Lo Stabat Mater a 10 voci di Scarlatti Un monumento musicale alla fede

Andrea Milanesi domenica 23 marzo 2003
A lato della fantasiosa e feconda vena creativa che ha investito il suo imponente corpus di opere per tastiera (all'interno di un catalogo che conta ben 555 Sonate), Domenico Scarlatti (1685-1757) ha coltivato un'importante e prestigiosa produzione musicale di carattere religioso; nato nello stesso anno in cui sono venuti alla luce due tra i massimi autori dell'epoca (il sommo Bach e Händel), tra il 1715 e il 1719 il compositore napoletano ha infatti legato il proprio nome alla Cappella Giulia nella Basilica di San Pietro a Roma, in qualità appunto di Maestro di cappella. Proprio a tale periodo si fanno presumibilmente risalire i due lavori prescelti dal gruppo vocale e strumentale Concerto Italiano - formato da dieci cantanti, ciascuno con dignità di solista, accompagnati da arciliuto, tiorba e organo - diretto da Rinaldo Alessandrini: la Messa a quattro voci e il sublime Stabat Mater a 10 voci e basso continuo (cd pubblicato da Opus 111 e distribuito da Deltadischi). Esperto conoscitore del repertorio madrigalistico tardo-rinascimentale, nonché brillante interprete della letteratura organistica barocca, Alessandrini si addentra qui in una lettura assolutamente convincente che, da un lato, recupera la dimensione arcaica e compassata di un tracciato polifonico profondamente radicato nel "verbo" palestriniano, dall'altro conferisce rilievo alla carica innovativa affidata ad ardite traiettorie melodiche. Proprio nello Stabat Mater è in effetti possibile cogliere con chiarezza diversificati piani di lettura, connessi tra loro attraverso un ordito contrappuntistico continuamente alimentato da ricercati contrasti; nell'alternanza tra oasi di austera spiritualità (lo straniante incipit dello "Stabat Mater dolorosa" o il dolente afflato del "Quis non posset contristari") e sprazzi dall'efficacia espressiva addirittura teatrale (il raggelante rarefarsi della trama sonora in occasione delle parole "Quando corpus morietur" o l'intreccio vocale operistico del "Fac ut animae donetur Paradisi gloria!"). Caratteri tutti esemplarmente evidenziati dall'intelligenza e dall'immedesimazione interpretativa di questa incisione, che si impone come una delle più appassionanti testimonianze discografiche mai dedicate alla musica sacra del '700 italiano.