Rubriche

Lezione dalla legge truffa Necessario il ballottaggio

Stefano De Martis domenica 17 dicembre 2023
Gli anniversari a volte aiutano a riflettere sul presente. Nel 1953 – settant’anni fa – si consumò nel giro di pochi mesi la vicenda di quella che nella storia politica della Repubblica è comunemente nota come “legge truffa”. Sull’origine del termine ci sono varie ipotesi, ma essa può essere agevolmente ricondotta al clima di durissima contrapposizione che accompagnò la genesi del provvedimento. In realtà, la legge 31 marzo 1953, n. 148, ha rappresentato di fatto il primo tentativo di orientare e stabilizzare il quadro politico attraverso una riforma elettorale in senso maggioritario. Fu voluta fortissimamente da De Gasperi, preoccupato per la governabilità (oggi si direbbe così) della giovane democrazia, in una congiuntura in cui l’equilibrio politico-istituzionale, costruito intorno alla coalizione centrista, mostrava evidenti segni di cedimento. A pochi anni dalla fine della guerra, in un contesto interno e internazionale estremamente critico, il leader democristiano ritenne necessario blindare gli assetti parlamentari con una legge che assicurasse ben il 65% dei seggi della Camera alla coalizione di liste più votata, a condizione che quest’ultima avesse ottenuto la maggioranza assoluta, il 50% più uno dei voti validi. Nelle elezioni del giugno 1953 le liste centriste apparentate superarono il 49% mancando l’obiettivo per poche migliaia di schede. Nonostante il numero elevatissimo di voti non validi, da grande statista De Gasperi volle evitare ogni forzatura e prese atto del risultato. La legge fu abrogata nel luglio di quello stesso anno. Il leader trentino sarebbe morto l’anno successivo. Con tutta probabilità anche un premio del 55% dei seggi, come quello previsto oggi dalla proposta governativa sul premierato, nel 1953 sarebbe stato considerato truffaldino. Ma chissà. Di sicuro era abnorme il 65% di allora. Non era invece per nulla truffaldina e, anzi, dimostrava una schietta sensibilità democratica, la condizione posta per l’applicazione delle nuove norme. Condizione effettiva, non teorica, come hanno dimostrato i fatti. Senza maggioranza assoluta intestarsi un mandato del “popolo” è veramente un’operazione arbitraria. Tanto più in una situazione di forte astensionismo che già di per sé relativizza consensi e percentuali. Nel momento in cui si punta a rafforzare l’esecutivo e in particolare la figura del premier, esaltando direttamente o indirettamente il rapporto con gli elettori, la soglia della maggioranza assoluta diventa un criterio fondamentale. E se nessuna lista o coalizione raggiunge il 50% più uno? La soluzione è ben conosciuta e sperimentata: il ballottaggio. Si tratta del sistema più limpido e lineare per assicurare la maggioranza assoluta, almeno in un secondo turno di votazione. Il principale ostacolo è di natura politica, perché nella situazione attuale il ballottaggio viene considerato un passaggio che favorisce il centro-sinistra, stante la difficoltà di questo schieramento a costruire coalizioni sin dal primo turno. Resta come un monito quanto scriveva il 30 giugno 1953 Paolo Emilio Taviani, un altro protagonista di quella stagione: «Abbiamo commesso degli errori. Innanzitutto non abbiamo previsto il ballottaggio. Alcuni, come Umberto Tupini (vicepresidente dc della Costituente, ndr) lo avevano capito e avevano suggerito di adottarlo. Ma non furono ascoltati». © riproduzione riservata