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L'analisi. La strategia social russa: cloni, censure e autarchia

Gigio Rancilio venerdì 18 marzo 2022

I social in Russia sono diventati uno strumento importantissimo in questa guerra. Non a caso, da qualche giorno, Putin ha silenziato sia Instagram sia Facebook, che venivano usati rispettivamente dal 59% e dal 37% dei russi. Per onestà va detto che l'ha fatto dopo che la società di Zuckerberg ha allentato le censure sui suoi social in Russia (e non solo) arrivando a permettere agli utenti messaggi violenti contro il presidente e il suo esercito.

Comunque sono anni che Putin sogna di avere solo social russi controllati dal governo o da persone fidate. Già oggi il più popolare si chiama VKontakte (VK), è un clone di Facebook, ed è nelle mani di un suo amico. Mentre il 28 marzo debutterà Rossgram, la copia russa di Instagram. Il fondatore di Rossgram è Zobov Alexander, che nel suo curriculum si definisce «compagno di studi di Pavel Durov». Una mossa curiosa o forse solo un'abile uscita per confondere le acque. Pavel Durov infatti è il fondatore – insieme al fratello Nikolai – di Telegram, l'app di messaggistica (concorrente di WhatsApp) ormai popolare anche in Italia. Ma è anche il creatore del popolarissimo VKontakte. Pavel però non ha mai sopportato Putin e non l'ha mai nascosto. Il suo impegno a favore della libertà è così totale da averlo spinto a ospitare su Telegram anche canali di terroristi, islamici e non, attirandosi (giustamente) un mare di critiche.

Oggi è cittadino francese, vive nell'isola caraibica di Saint Kitts e Nevis e guida Telegram, sfidando apertamente la censura russa «con un sistema impossibile da decriptare». Nel 2014 è stato costretto ad abbandonare la guida del popolarissimo VKontakte (il Facebook russo) dopo un braccio di ferro col governo russo durato quasi due anni. Putin voleva che censurasse le pagine, i gruppi e gli utenti social che manifestavano contro di lui e che passasse al governo tutti i dati degli utenti. Pavel ha tenuto duro ma allo scoppio della guerra in Crimea del 2014 è stato costretto a vendere a Mail.ru, una società che fa capo ad Alisher Usmanov, un oligarca uzbeko amico di Putin, proprietario anche del quotidiano Kommersant, comproprietario del secondo operatore di telefonia mobile russo, MegaFon, e appunto del gruppo Mail.Ru che gestisce anche altri social come OK.ru e My World, app di messaggistica come Agent, ICQ, TamTam e soprattutto il principale servizio russo di email.


Per cercare di arginare la censura putiniana, in questi giorni molti utenti russi si sono spostati su Telegram e scaricato servizi di Vpn, le reti virtuali private che simulano la presenza di un utente in un Paese diverso da quello in cui si trova.
Ad agitare lo scenario c'è anche il fatto che TikTok – usato dal 35% dei russi – dopo avere inizialmente censurato i canali social della propaganda moscovita, ha bloccato l'accesso in Russia ai contenuti stranieri, lasciando così di fatto più spazio ai supporter del Cremlino.


Ora i russi temono per YouTube, che è usato da ben il 68% della popolazione. L'opinione diffusa è che sarà presto vietato e al suo posto sarà potenziato RuTube, il suo clone russo usato già da 30 milioni di utenti. All'appello manca solo Google. Che ha già un suo clone russo: si chiama Yandex e gestisce il motore di ricerca più usato del Paese, offre un browser, servizi mail e di mappe.
L'obiettivo finale di Putin è chiaro: avere – come la Cina – un mondo digitale controllato e controllabile, sostituendo i servizi digitali stranieri con quelli russi. La scusa ufficiale è sempre la stessa: proteggere il Paese dagli attacchi hacker. Ma il vero obiettivo è il controllo delle idee.