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La straordinaria normalità di vivere in pace

Marina Corradi martedì 2 settembre 2014
Milano, 1 settembre – L'edicolante ha riaperto per primo; poi la tintoria, e il bar all'angolo, quello del caffè ogni mattina. Ho già incontrato il signore con il vecchio golden retriever al guinzaglio, e la guardia giurata che smonta alle sette. Siete tornati tutti, mi dico con soddisfazione, dopo il vuoto dell'agosto: e sono perfino contenta di non trovare un buco per il parcheggio. Ma in questo primo settembre, sotto a un inaspettato cielo splendente, c'è qualcosa che vedo per la prima volta. Vedo la gente che cammina serena per strada, i bambini per mano. E, all'edicola, dieci quotidiani diversi, e ciascuno libero di comprare quello che gli pare. Vedo l'entrare tranquillo dei fedeli in chiesa, per la messa delle nove. E, al supermercato, gli scaffali colmi di cibo. Vedo la casa in cui vivo, e noi liberi di entrare e di uscire, o di partire per dove vogliamo.Vedo tutto questo, stamane, come se non lo avessi mai visto. Sarà per questa estate cupa di guerre vicine e lontane, e per ciò che ogni giorno leggiamo. Ho ancora negli occhi i tre adolescenti israeliani rapiti e giustiziati alla fine della scuola, e poi le macerie di Gaza, e i bambini morti mentre giocavano sulla spiaggia. E le colonne di carri armati russi in marcia verso il confine ucraino, e le città spopolate e in fiamme.Ho in mente le colonne di profughi in Iraq, e i prigionieri nudi che i miliziani dello Stato islamico spingono a calci verso la fucilazione. E le donne yazite in gabbia, come bestiame da vendere al mercato. Ho negli occhi la ferocia di chi taglia la gola a un uomo con orgoglio, e la disperazione dei cristiani costretti a convertirsi o a morire. Ho profondamente addosso le immagini di questa estate di veleni, e ora, solo ora mi accorgo della mia città in pace. L'ho sempre data per scontata, la pace, come chi è nato in Italia dopo la guerra, e ha ascoltato incredulo e atterrito i racconti dei padri e dei nonni: bombardamenti, rastrellamenti, deportazioni. Ma per la mia generazione tutto questo era un livido incubo del passato, irripetibile nell'oggi. Per la prima volta mi viene il dubbio che non sia così, e che settant'anni di pace siano qualcosa di raro nella storia; di raro e di fragile, essendo gli uomini, anche contro la loro volontà, oscuramente inclinati alla violenza e alla sopraffazione. Contemplo dunque questa Milano civile e ordinata con un'inquietudine addosso, e insieme con una nuova gratitudine. Per ogni giorno come questo, in cui, comunque, siamo liberi e non affamati, e dormiamo nelle nostre case, bisognerebbe ringraziare Dio. Io non l'avevo ancora capito. Quelle facce, quelle donne, quei bambini, quelle città in macerie, in questa fosca estate me lo hanno insegnato.