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La storia d'America vista da un ebreo

Andrea Fagioli domenica 30 gennaio 2022
Cosa sarebbe successo se nel 1940, anziché essere rieletto alla presidenza degli Stati Uniti il democratico Franklin Delano Roosvelt, fosse arrivato alla Casa Bianca l'eroe della trasvolata atlantica, il repubblicano Charles Lindbergh, filonazista e fervido antisemita? Sarebbe successo che durante la Seconda guerra mondiale gli Stati Uniti non si sarebbero alleati con gli inglesi e i francesi bensì, dietro un'apparente neutralità, avrebbero stretto patti con la Germania di Hitler, con tragiche conseguenze per la democrazia americana e gli ebrei. Questo è quello che immagina lo scrittore statunitense Philip Roth (1933-2018) nel romanzo Il complotto contro l'America (2004) e di conseguenza immaginano gli autori dell'omonima serie televisiva in tre parti trasmessa da Rai 3 il venerdì in prima visione in chiaro, ma già proposta a sua tempo in pay tv da Sky. Il complotto contro l'America riscrive la storia attraverso il punto di vista dei Levin, una famiglia ebrea di Newark, nel New Jersey. Con l'elezione di Lindbergh, i Levin si trovano ad affrontare le conseguenze dei violenti e sconvolgenti cambiamenti politici che ne derivano. Un'opera di fantastoria, dunque, che si affida però a una vicenda lineare e credibile, puntando soprattutto sulla caratterizzazione dei personaggi: da Elizabeth, preoccupata solo di proteggere la sua famiglia, al marito Herman, convinto e attivo antifascista, fino al figlio più piccolo, Philip, testimone impotente dell'onda di fanatismo che stravolge l'America. Così le vicende pubbliche, sia pure lette attraverso il privato di una famiglia, mettono bene in evidenza le ambiguità che portano alle svolte autoritarie e rimandano in qualche modo all'attualità di un'America, soprattutto negli anni della presidenza Trump, non immune da rigurgiti razzisti.