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La speranza che ogni volta accende il fuoco di Olympia

Mauro Berruto mercoledì 25 ottobre 2017
Ieri, alle 12 esatte ora locale, nel luogo più evocativo del mondo sportivo, un raggio di sole ha acceso la fiamma. Undici moderne sacerdotesse hanno invocato Apollo che, puntuale, giocando di sponda con uno specchio parabolico, ha infiammato la prima torcia.
È successo a Olympia, nei pressi del tempio di Hera, che porta con sé un fascino millenario. Migliaia di anni fa a Olympia ardevano fiamme perenni alle quali, in occasione dei Giochi, si sommavano ulteriori fuochi che venivano mantenuti accesi, per tutta la durata delle competizioni sportive, presso i templi di Zeus e di sua moglie Hera.
Insomma, è proprio il fuoco a tenere ritualmente uniti i Giochi dell'antichità con quelli moderni, anche se questo simbolo non compare contestualmente alla geniale intuizione del Barone de Coubertin del 1896. Passano sette edizioni dei Giochi e il fuoco fa il suo esordio ad Amsterdam, nel 1928.
Un braciere viene per la prima volta acceso nello stadio olandese in cima alla Torre di Maratona, costruita dall'architetto Jan Wils proprio per quello scopo. L'enfasi non è troppa: svolge il compito un dipendente della società elettrica di Amsterdam. Quelli sarebbero stati gli ultimi Giochi Olimpici, nel ruolo di Presidente del Cio, per Pierre De Coubertin, che proprio al termine di quell'edizione lascerà l'incarico e si ritirerà a vita privata.
Tornato il fuoco, passano altri otto anni ed entrano in scena la fiaccola e la staffetta di tedofori che di quel fuoco acceso a Olympia si prende cura, per portarlo fino alla sede dei Giochi. Non c'è traccia di questa tradizione nei Giochi antichi, se non nelle "corse lampadiche" che si tenevano a Napoli per celebrare la sirena Pathenope: vere staffette dove i corridori si passavano fiaccole accese fino a lanciarle in mare, a conclusione della gara.
La prima volta è dunque a Berlino nel 1936, su intuizione del dirigente e scienziato dello sport tedesco Carl Diem che, con quell'idea, infiamma letteralmente il cuore e l'animo di Adolf Hitler. Più di tremila tedofori portano la fiaccola dalla Grecia fino a Berlino, in una sorta di esaltazione collettiva del delirio nazista che attraversa, con sinistri presagi, l'Europa. Da Berlino in poi questo rituale diventa tradizione pur trasformando, grazie al cielo, il significato di quel viaggio.
La fiaccola olimpica da allora viaggia in tutto il mondo, in tutti i modi (sott'acqua, nello spazio, a bordo di una Ferrari), subisce agguati e tentativi di spegnimento talvolta riusciti, ma resi inutili dal fatto che, insieme alla fiaccola, viaggia sempre un superprotetto contenitore con... fuoco originale di Olympia di riserva.
Tuttavia, non sempre il fuoco per i Giochi Olimpici invernali è stato acceso a Olympia. L'episodio più curioso si è ripetuto per tre volte, in occasione delle edizioni di Oslo 1952, Squaw Valley 1960 e Lillehammer 1994, quando il fuoco si accese, grazie a una torcia di legno di pino, a Morgedal, in Norvegia. Luogo della cerimonia (un po' meno sacro, ma comunque evocativo) il caminetto della casa natale di Sondre Norheim, un pionere dello sci scomparso nel 1987, inventore della tecnica del Telemark, quella a "tallone libero", per capirci.
In ogni caso, da ieri, la fiamma è accesa e già è in viaggio per il mondo. Annuncerà, ancora una volta, la ekecheirìa, la tregua olimpica, per arrivare fino in Corea del Sud, dove il 9 febbraio accenderà il braciere di PyeongChang. La Vecchia Europa, anzi il cuore più antico della Vecchia Europa, invia il suo messaggio, nato dal desiderio di un dittatore e diventato simbolo universale di pace, a una parte di mondo che di "tregua" ha bisogno come l'ossigeno. Speriamo bene.