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La scuola e il cibo, scene da un Paese che ha perso il buon senso

Paolo Massobrio mercoledì 25 gennaio 2017
Arrivano dalla scuola i due tormentoni giornalistici di questi mesi. Il primo è quello ormai noto del ragazzo che vendeva le merendine in nero; il secondo del panino portato da casa. Un polverone. Ora ci si chiede dove stia la certezza del diritto. Nel caso del ragazzo di Moncalieri si è passati da una borsa di studio per la sua intraprendenza, promossa da una fondazione di Roma, alla punizione di 15 giorni, come volontario presso l'Associazione Terza Settimana che aiuta le famiglie in stato di difficoltà. Ma il padre si rifiuta di mandarlo al mercato e tutto rimane nell'impasse fino alla prossima puntata (a quando un film?). Diverso è invece il tormentone della cosiddetta "schiscetta" che ha coinvolto i Comuni di Milano e di Torino, dove si scopre che, a fronte della scelta casalinga, c'è un buco di 3 milioni di euro. Eh sì, perché 4.500 dei 30mila bambini iscritti alle scuole torinesi hanno scelto di portare il pasto da casa. E non solo nei quartieri meno abbienti. Ma che succede? Che la ditta che ha vinto l'appalto non è tenuta a leggere i giornali, per cui quei 4.500 pasti non richiesti li ha sempre messi in conto. E il Comune deve pagare. Ma c'è di più, perché quello che poteva sembrare un diritto (ai miei tempi, 40 anni fa, lo era), oggi è invece soggetto a una raffinata battaglia giudiziaria che sarebbe giunta a un compromesso fra le famiglie e l'Avvocatura dello Stato. Sentite che capolavoro: il bambino col pasto portato da casa può mangiare in mensa, ma deve sedersi capotavola, con un posto vuoto vicino e la maestra di fianco. Questo, per evitare "contaminazioni" (di che genere, non si sa) fra il cibo portato e quello fornito alla mensa. Ora, mettersi nei panni del bambino può far nascere un caso fra il mobbing e l'umiliazione, alla faccia della privacy e dell'educazione. Ma su tutto vince la regina di tutte le priorità: la burocrazia, che è stata capace di partorire un provvedimento del genere.
E mettiamo il caso che in una classe siano il 90 per cento o anche solo il 50 quelli che si portano il panino. Cosa si farà per rispettare la legge? Si dovrà costruire una nuova sala mensa per avere più posti capotavola? E l'insegnante che deve sedersi di fianco, quanti secondi dovrà dedicare a ciascuno degli schiscettari? Siamo ancora una volta al ridicolo e al disprezzo di quel che viene chiamato il buon senso. Se cresce l'esigenza di portarsi il cibo da casa bisognerebbe domandarsi i motivi: c'è la crisi (dicono) e magari la qualità dei pasti non è quella desiderata dai genitori. Sul secondo aspetto si può intervenire; sul primo, si deve prendere atto e magari cambiare il modello di offerta in fretta, dando appalti per mense libere, com'era ai miei tempi, quando tutto sommato c'era meno regime e più buon senso. Ma un ministero del buon senso non è previsto?