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La sciarpa e le cose "inutili" delle mamme

Marina Corradi giovedì 17 marzo 2016
Milano, marzo – Fra le sette e le otto di una mattina feriale. Passi in corridoio, un frettoloso «ciao» dall'ingresso, e il rumore della porta di casa che si apre. La mia voce dalla camera che grida: guarda che oggi fa freddo, ci vuole la giacca pesante! La porta richiusa con un tonfo, e altri passi, agili, su scale discese di fretta, quasi di corsa.Il figlio cui mi rivolgevo non mi ha sentito o, piuttosto, ha fatto finta di non sentire. Che noia, mi pare di leggergli nel pensiero, le madri: e le scarpe pesanti, e la sciarpa, e l'ombrello, tutte cose così irrilevanti, a 18 o 20 anni.Sorrido: mi pare passato solo un giorno, da che mia madre mi gridava dietro le stesse identiche cose. Da quando io, fingendo di non sentire, saltavo sull'ascensore e pigiavo in fretta "T", piano terra. La sciarpa, l'ombrello, quante cose inutili aveva sempre da ricordarmi mia madre. Se piove, cosa importa? I vestiti, mi dicevo, poi si asciugano. E alzavo gli occhi al cielo a quelle premure. E mio padre? Mio padre che, io già oltre i vent'anni, nel salutarmi sul pianerottolo ogni volta mi ripeteva, apprensivo, quasi timido, il suo «mi raccomando»? Mi rivedo nello specchio dell'ascensore che sorrido a me stessa, spavalda. Mi raccomando cosa, papà? Io me la so cavare benissimo, da sola.Poi il tempo scorre: in apparenza lento, in realtà vorticoso. Sono passati gli anni in cui i miei figli erano bambini. I due maschi sono di tanto così più alti di me e la piccola, come io mi ostino a chiamarla, è quasi una donna. Eppure ancora, in una mattina di cielo grigio e pesto come oggi, io mi sento in dovere, come in un riflesso obbligato, di lanciare inutili "grida" su berretti e scarpe. I figli, ovviamente, nemmeno mi ascoltano. «Dài, mamma!», borbottano se proprio non mi possono sfuggire. E io me ne torno in camera senza prendermela: i figli, fanno il loro mestiere. (Mi preoccuperei, in realtà, se mi dessero retta).Ma vorrei dirvi, ragazzi, una cosa che so ora, a cinquant'anni. Quelle raccomandazioni tediose e sempre uguali sono il modo un po' goffo di dire una attenzione, una premura: e fate bene a sbuffare e a alzare gli occhi al cielo, come si usa di generazione in generazione. Dovete sapere però che il giorno in cui nessuno più si preoccuperà della vostra sciarpa, o quando nessuno, voi rientrando tardi, vi chiederà: hai cenato? Hai mangiato abbastanza? vorrà dire che vostra madre e vostro padre non ci sono più. E allora improvvisamente capirete che più nessuno pensa a voi con il bene che si vuole a un figlio.Sarete adulti, e liberi, quel giorno. Ma in quel momento sentirete forse una sottile, impercettibile fitta al petto – dalle parti del cuore. Capendo solo allora la dolcezza di quelle cure – di quelle attese insonni di madri che sussultano, a notte tarda, a ogni passo sulle scale.