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LA RANA NEL POZZO

Gianfranco Ravasi domenica 9 febbraio 2003
Ti prego, o Dio, di liberarmi. In questo mondo sono come una rana in un pozzo senz'acqua. Signore, tu sei la nostra via di salvezza, tu sei la nostra liberazione! È domenica e vorremmo proporre una sorta di oasi spirituale, in apertura alla sequenza delle notizie non certo esaltanti che la quotidianità ci offre. Migriamo idealmente lontano dalla nostra terra e dalla nostra spiritualità: la preghiera, semplice e intensa, sopra citata è desunta da una delle Upanishad (in sanscrito "sedute segrete"), trattati sacri della religione indù. Il titolo del trattato da noi oggi usato è Maitrí, un termine che indica "misericordia, tenerezza, benevolenza". Siamo nel VI sec. a.C. e l'autore invoca il Signore sorgente di salvezza e di liberazione perché la creatura umana si sente prigioniera e in pericolo. Ecco, allora, l'immagine adottata per descrivere questo stato di amarezza: noi siamo come rane in un pozzo senz'acqua. Il mondo è visto, dunque, come un deserto arido, senza vita, destinato a soffocarci. La rana è festosa e saltella piena di vigore quando sguazza nell'acqua, ma nella steppa si intristisce e si spegne. Così ci sentiamo talvolta anche noi, immersi in un'esistenza grigia e senza approdi di luce, ripetitiva e monotona, inseriti in una società gretta e violenta, in una storia che sembra non conoscere pace e significato, speranza e serenità. Sale, allora, l'invocazione a un Altro che dall'alto ti sollevi perché tu, da solo, non puoi
estrarti dal pozzo senz'acqua del mondo alzando nel vuoto le mani.