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La rabbia, lo scontro e poi... il comandamento dell'amore

Fabrice Hadjadj domenica 15 aprile 2018
Proseguivo la mia missione in Metagonia come un grosso sacco ingombrante. Fratel Ugo mi trasportava attraverso la foresta, mi posava contro un albero, mi ricaricava sulle sue spalle, mi trascinava lasciando talvolta rimbalzare i miei piedi sulle radici. Nel mio stato semi-cosciente rivedevo quell'illustrazione della versione abbreviata dei Miserabili che avevo alle medie: Jean Valjean che trasporta Marius attraverso le fogne di Parigi. Da dove gli veniva quella forza erculea? Soprattutto, da dove gli veniva quel desiderio mentre io facevo di tutto per disgustarlo? Avevo solamente un pensiero: ritornare al nostro club di vacanze. Appena riprendevo conoscenza, subito tentavo di fuggire, ma Ugo ogni volta mi riacchiappava più infallibilmente di un ballerino di rock and roll. Aveva smesso di scusarsi prima di stordirmi. Aspettava che riaprissi gli occhi, guardandomi con confusa benevolenza, dispiaciuto di non avere altra soluzione per esercitare la sua devozione che colpirmi. Cadevano allora dal suo grosso labbro briciole di san Paolo: Faccio pugilato, ma non come chi batte l'aria… Qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Se invece non subite correzione, mentre tutti ne hanno avuto la loro parte, siete illegittimi, non figli! Non cercava più di spiegarmi il suo atteggiamento. Alla fine avevo capito: appena sentivo la parola "amore", mi riparavo la testa e mi preparavo a schivare un altro gancio destro. Cercava soprattutto di farsi coraggio, convincersi, davanti al mio volto tumefatto, che stava ancora mettendo in pratica il Vangelo. Per questo, si ripeteva spesso la celebre frase di sant'Agostino: «Ama e fa' ciò che vuoi», parole accompagnate dall'autore delle Confessioni da queste altre perfettamente adatte alla circostanza: «Meglio le percosse della carità che le carezze dell'orgoglio». Il mio confratello si sforzava dunque di evitare le carezze dell'orgoglio, e la mia faccia era diventata il punching-ball della sua carità. Quando ero abbastanza suonato da non provare più a fuggire, mi apriva delicatamente la bocca e mi dava a mangiare come a un bambino piccolo. Mai una pecora smarrita si era rivoltata tanto contro il pastore, e con ragione, visto che già sapeva come sarebbe andata a finire. Una volta ritornata nel recinto a brucare comodamente, l'avrebbe chiamata per nome con quella sua voce inimitabile e le avrebbe detto: Andate, ecco, vi mando tra i lupi… Era dunque quella la salvezza? Essere divorati dai lupi, proprio come quelli che si sono persi per sempre, ma con la benedizione del buon pastore, e pure ringraziandolo? Con legni tagliati col coltello, fratel Ugo stava fabbricando un graticcio sul quale stendermi e trascinarmi. Aveva già intrecciato delle liane per legarmi solidamente. Dovevo agire rapidamente. Legato sul graticcio avrei avuto minori possibilità di tagliare la corda. Da qualche giorno, a dire il vero, non era più tanto la voglia di ritornare dalle Venidri che mi attanagliava, quanto il desiderio di rispondere, di vendicarmi, di rendere al mio caro fratello il centuplo di tutti i suoi ceffoni caritatevoli! Molte volte avevo sognato che l'uccidevo senza rimorso, e anzi con un immenso sollievo coniugato al sentimento del dovere compiuto. In genere nei miei sogni, non lo assassinavo di nascosto; lo strangolavo alla luce del giorno, nel mezzo di un'arena, come un servizio pubblico, tra folle in delirio per il gesto professionale con cui lo avevo liquidato. Che delusione, al mio risveglio, di vederlo vivo e sempre pronto a rimettermi sulla strada maestra! Come avrei voluto che il mio sogno diventasse realtà! Ma facevo finta di dormire ancora, per recuperare le forze e saltargli addosso nel momento in cui sarei stato certo di non mancarlo. C'è già nella storia delle missioni la cronaca di due preti partiti insieme per annunciare Cristo e finiti per ammazzarsi a vicenda sotto gli occhi di barbari stupiti da un tale miracolo di odio? Non potevo scartabellare negli archivi, ma ne ero sicuro: non potevamo essere i primi. Paolo e Barnaba, dopo avere formato la coppia ideale ad Antiochia, a Cipro e in Panfilia, erano quasi arrivati a mutilarsi: Allora ci fu una discussione talmente accesa che i due si separarono, dicono pudicamente gli Atti degli Apostoli. In fondo, a pensarci bene, tutta l'avventura della cristianità, tutta l'avventura dell'umanità stessa è solamente una sequenza di fratricidi. Caino, i fratelli di Giuseppe, Absalom figlio di Davide, la guerra dei Cent'anni, la guerra dei Ventuno secoli… Mi inserivo nella grande tradizione biblica. Era tutto ciò che mi restava del mio ideale. Ugo si rivolgeva a me durante quello che pensava essere il mio sonno, credendo forse alle virtù del subliminale. Mi parlava della Vergine Maria, di come lo avessi in precedenza confortato, della nostra solidarietà in quanto membri del Corpo mistico di Cristo, e mi chiedeva di non perdere la fede se volevo camminare sulle acque: «L'ho letto in un libro. Se non si è cristiani, si può nuotare, fare windsurf e anche sci nautico. Ma non si è cristiani, la situazione può essere solo migliore o peggiore: o uno cammina sulle acque, o annega…». Quello era il momento di attaccare. Sospettava qualcosa? Lo shock fu terribile, ma non riuscii a spaccargli direttamente la nuca: colpii una scapola, lo afferrai alla gola, strinsi con tutte le mie forze mentre lui si dibatteva urlando e agitando i gomiti e la testa. Uccidere non era così facile come nel sogno. Era più forte e più volitivo di me. Avevo tuttavia un vantaggio su di lui: era in stato di grazia. Il desiderio del bene lo tratteneva dal portarmi un colpo fatale, mentre in me il desiderio dell'omicidio era puro, privo di qualsiasi freno, compreso quello della più elementare decenza. Ci rotoliamo a terra. Ci mischiamo come due cani, uno potente, l'altro rabbioso. Sento i battiti delle ali degli uccelli che lasciano gli alberi intorno a noi, le lepri fuggire nelle tane, i ragni disertare la loro tela, gli armadilli raggomitolarsi, tanto quello che facciamo non è bello da vedersi. Io stesso non vedo più niente. Sono come in un frullatore. È solamente un turbine dove non distinguo più l'alto e il basso, la sinistra e la destra, la parte anteriore e quella posteriore, il mio corpo e quello del mio avversario, i colpi che do e quelli che ricevo, la luce e le tenebre. Regrediamo verso la confusione di prima della parola… Pianto i miei denti nel mio stesso avambraccio… E all'improvviso, cosa accade? Siamo stesi sulla schiena, fianco a fianco, dolenti e gementi. Tre esseri quasi identici, vestiti di abiti bianchi, ci hanno separati, ed ecco che esclamano all'unisono: «Come potete agire così? Non sapete che dobbiamo amarci gli uni gli altri?». La memoria mi ritorna come quella luce che fa male quando le ante di una stanza per molto tempo immersa nell'oscurità si spalancano bruscamente nel pieno del mezzogiorno. E la vergogna mi opprime il cuore. E le lacrime sgorgano dai miei occhi ammaccati. Sulle mie guance macchiate di fango e di sangue, le sento calde che scavano solchi più chiari. La mia bocca gonfia prova a dire: «Mio Dio». Ma ciò che ne esce è il lamento di una bestia mortalmente ferita.
(32, continua. Traduzione di Ugo Moschella)