Rubriche

La pornografia maschera un oceano di solitudini

Mariolina Ceriotti Migliarese giovedì 21 maggio 2020
In questo periodo di forzato isolamento l'uso degli strumenti informatici si è fatto più intenso che mai. Molti sono i risvolti positivi: abbiamo imparato a diventare più veloci ed efficaci e a coltivare le relazioni superando i limiti dello spazio; abbiamo sperimentato nuovi e creativi modi di studiare e lavorare.
Ma la rete, divenuta sempre più potente, ha aumentato anche le sue insidie, prima tra tutte il rischio sotto traccia che riguarda il consumo di pornografia. Parlare di pornografia non è semplice, perché l‘idea oggi più diffusa è che si tratti in fondo solo di un gioco, da lasciare alla scelta libera di ognuno; si pensa che un po' di pornografia non possa fare del male ad un adulto sano e consenziente e che il materiale pornografico possa anche essere uno strumento utile per ravvivare il desiderio e la fantasia nella sessualità della coppia. Eppure, la pornografia è pericolosa: lo è più che mai per i bambini e i preadolescenti, ma lo è anche per l'adolescente e per l'adulto, e la sua diffusione così capillare, l'incredibile dimensione del fenomeno, la sua “normalizzazione”, richiedono l'urgente sviluppo di un pensiero articolato. Non è questo lo spazio per affrontare il tema nella sua complessità, ma penso che si possano almeno condividere alcune considerazioni, utili come punto di partenza. La prima è questa: non si può comprendere la diffusione del fenomeno se non si considera che la nostra cultura ha modificato completamente il proprio paradigma di riferimento intorno al tema del corpo e del sesso, e che, contro ogni apparenza, siamo immersi in un mondo che non ama né il corpo né il sesso e che teme profondamente ogni idea di intimità. Il corpo ha sempre rappresentato nell'esperienza di ciascuno la base prima e concreta del concetto di identità; il corpo che abbiamo ricevuto è qualcosa che insieme ci vincola e ci manifesta: ci pone dei limiti, ci caratterizza, mostra all'esterno la parte visibile di ciò che siamo. Non dice tutto di noi, ma è la forma attraverso la quale gli altri ci conoscono e con cui prendono contatto: noi “siamo” perciò anche il nostro corpo.
Chi ha raggiunto un buon equilibrio identitario vive in accordo col suo corpo, per quanto imperfetto; quando questo accade, la persona è “bella”, non perché rispetti particolari canoni estetici, ma perché in lei ci sono armonia e autenticità. Oggi, però, da fulcro e base dell'identità il corpo si è trasformato in un oggetto di proprietà insindacabile; un oggetto di cui possiamo fare ciò che vogliamo. Ci sentiamo autorizzati ad usarlo, manipolarlo, servircene come meglio crediamo per i più diversi scopi: ricevere attenzione, esercitare un potere, provare piacere. Proprio perché strumento e oggetto di possesso lo pretendiamo perfetto: i limiti innegabili del corpo reale sono diventati fonte di disagio, perché vorremmo un corpo ideale, sempre prestante e seducente; soprattutto un corpo asettico, inodore, non imbarazzante.
E che dire del sesso? Anche il sesso reale è imbarazzante: l'incontro reale tra corpi reali implica infatti accettare anche imperfezioni e limiti. Il sesso reale e il corpo reale sono decisamente lontani dalle nostre idealizzazioni: ci inchiodano al limite. Proprio per questo, per manifestarci liberamente all'altro abbiamo bisogno di un contesto di fiducia e di intimità protettiva, che tuteli la nostra vulnerabilità.
La rimozione dei legami tra corpo, sesso e identità è il terreno perfetto per lo sviluppo di una sessualità svincolata dalla relazione: la relazione infatti è frutto del contatto tra due identità. Se il corpo non esprime un'identità ma solo una forma, lo scambio con un altro corpo, divenuto a sua volta oggetto, non fa nascere nessuna relazione: per quanto eccitante e piacevole possa essere, è uno scambio che lascia profondamente soli.
È in questo contesto culturale che la pornografia trova spazio: ricerca di stimoli sempre più eccitanti, per mascherare solitudini sempre più profonde.