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La pericolosa passione degli italiani per i contanti Qualcuno avrà il coraggio di cambiare registro?

Francesco Delzio sabato 22 giugno 2019
Non accenna a diminuire la calda passione degli italiani per i contanti. Secondo le analisi del nostro Ministero dell'Economia e delle Finanze l'Italia è il primo dei grandi Paesi europei per il peso del contante sul totale degli scambi. Il dato è confermato dall'Osservatorio Community Cashless Society di Ambrosetti, che posiziona il nostro Paese al 32esimo posto tra le 35 peggiori economie al mondo per dipendenza dal contante. Ogni 100 euro di transazioni, in Italia 86 si traducono in scambi di cartamoneta, contro il 79% registrato nella media dell'Eurozona. Il contante ha sostanzialmente il monopolio delle transazioni in Calabria, dove ne rappresenta ben il 94%, ma anche in Abruzzo, Molise e Campania dove costituisce il 91% degli scambi. Perfino la Lombardia, la regione più "virtuosa" da questo punto di vista, con il suo 81% si posiziona peggio della media dell'area Euro. La questione non è solo culturale e non riguarda solo il basso grado di penetrazione dell'innovazione tecnologica nella società italiana. Perché cash e nero – ovvero uso dei contanti ed economia sommersa – viaggiano insieme: come ha stabilito il Comitato per la Sicurezza Finanziaria del Mef, infatti, l'uso dei contanti rappresenta la benzina principale del riciclaggio e dell'evasione fiscale. In Italia il dibattito sul tema è sempre molto acceso, ma ha condotto negli ultimi anni ad esiti in (evidente) controtendenza rispetto agli altri Paesi avanzati: da ultimo nel 2016 il governo Renzi ha rialzato da mille a tremila euro la soglia per l'utilizzo del contante, compiendo una scelta di cui l'allora ministro dell'Economia Padoan si è detto «pentito». Ugualmente oggi non si registrano proposte delle forze di maggioranza per limitare l'uso delle banconote, che sembrano essere diventate nel nostro paese un tabù intoccabile. La soluzione per uscire da questa palude è semplice quanto (apparentemente) impopolare: favorire una più rapida diffusione degli strumenti di pagamento elettronici. I benefici sarebbero rilevanti: maggiore sicurezza delle transazioni, riduzione dei costi del contante, emersione dell'economia sommersa e stimolo ai consumi e al commercio. L'unico problema di una simile strategia – i costi aggiuntivi delle carte di credito a carico di esercenti e consumatori – potrebbero essere gestibili mediante un accordo di sistema con i principali player del settore in Italia. Qualcuno avrà il coraggio di provarci?

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