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La lezione di Christine, angelo d'Alsazia

Paolo Massobrio mercoledì 6 febbraio 2019
Tutto il mondo è paese. Talvolta questo antico adagio ti viene tirato fuori d'istinto, pensando che già Cesare Pavese ci aveva ricamato sopra dicendo: «Così questo paese, dove non sono nato, ho creduto per molto tempo che fosse tutto il mondo. Adesso che il mondo l'ho visto davvero e so che è fatto di tanti piccoli paesi, non so se da ragazzo mi sbagliavo poi di molto«. Questo ho pensato domenica scorsa quando sono stato a Niedermorschwihr, un paesino dell'Alsazia di 350 anime dove abita l'angelo delle confetture, al secolo Christine Ferber. Una donna che lavora sodo, dalle 5 del mattino alle 10 di sera, confezionando a mano le sue confetture che rivende in tutto il mondo. Lei, figlia di un panettiere, s'è ritrovata a vivere in questo Comune del vino, dove nel dopoguerra le finestre delle case erano mosaici creati coi fondi delle bottiglie. Appena dopo i vent'anni sente però le sirene della città e va a lavorare a Parigi, ma prima – consigliata dal padre che non desiderava quella partenza – si specializza a Bruxelles in pasticceria. Nel 1979 vince la Coupe de France, il concorso per giovani pasticcieri. Del suo paese è anche Pierre Hermé con cui si confronta, perché è combattuta: tornare a casa o viaggiare? Nel 1980 decide: «Tornerò al mio paese e farò i migliori dolci del mondo. Può essere così che il viaggio venga da me». Be', sono passati quasi 40 anni ed è successo proprio questo. Ma quello che m'ha stupito durante il dialogo è che tutto, ancora oggi, le sembra nuovo. E ritorno a Pavese quando, dicendo che un paese ci vuole non foss'altro che per andarsene via, scrive: «Possibile che a quarant'anni, e con tutto il mondo che ho visto, non sappia ancora che cos'è il mio paese?». Christine lo dice con le sue parole: «Ogni giorno è diverso: per le stagioni, per le feste, per i ritmi. Tutto parte e tutto ritorna: è lo scorrere della vita». Ma guai ad accontentarsi: «Così il mondo si ferma». Guai a pensare: «Quanto tempo ci vorrà» per fare una cosa. Con questa paura – dice – si tarpano le ali della libertà. Ora il dialogo con questa donna, mia coetanea, mi ha fatto riflettere su quale Paese voglia disegnare la politica odierna. Ma amministrare una nazione non significa guardare le forze, culturali e sociali, che vivono al suo interno? E molte sono in quella periferia abbandonata, privata dei servizi essenziali, considerata nel migliore dei casi uno spazio di relax per cittadini. E se invece un paese con la sua storia, con quel senso integrale della famiglia e della comunità, fosse un modello? Da rispettare, da assecondare, da incentivare, sapendo che il genio si è formato in quell'humus di storia. Dopo aver conosciuto Christine, dopo aver assaggiato la perfezione assoluta della sua confiture de mon père («Marmellata di mio padre»), ne sono convinto.