Rubriche

La gloria invisibile degli innocenti

Gloria Riva giovedì 27 ottobre 2016
Wiliam Holman Hunt (1827-1910) era stato in Terra Santa, quel viaggio gli era come rimasto addosso facendogli realizzare opere che trasudano del sapore drammatico e misterico di quella terra. Una di queste si intitola Il trionfo degli Innocenti. Mi tornava in mente questo dipinto domenica, mentre ascoltavo le accorate parole del Santo Padre sulla strage di Mosul, ultima di una lunga serie. Quel minuto di silenzio osservato insieme alle migliaia di pellegrini presenti in piazza San Pietro si è caricato di Presenze invisibili, ma reali. Proprio come nell'opera di Holman Hunt.
La sacra famiglia fugge verso l'Egitto, per scampare alla persecuzione di Erode. Una scena quotidiana, ormai, anche per il nostro panorama europeo. Non più interminabili cammini a dorso di un mulo, ma viaggi precari a bordo di barche, appena degne di questo nome, per sfuggire spesso alla tirannia dei prepotenti. Nell'opera di Holman un san Giuseppe ignaro di tutto trascina vigorosamente l'asinello che reca come soma il “peso” più prezioso della storia umana: Maria con il divino Figlio. Ma nella vellutata notte stellata della fuga accade qualcosa. Il silenzio, come domenica scorsa in piazza san Pietro, si carica di presenze. Attorno alla sacra famiglia si materializzano bambini bellissimi, festanti che, tuttavia, l'uomo di Nazareth non vede. Quasi non li vede neppure la Vergine come spiega lo stesso pittore in una lettera all'amico William Bell Scott. È Cristo che distoglie la Vergine dalla sua meditazione inarcandosi sulla schiena e indicando con la piccola manina le improvvise presenze.
Quei bambini sono i martiri innocenti massacrati da Erode che, inconsapevoli e quasi incapaci di parlare, hanno testimoniato Cristo, conseguendo in un attimo la corona della gloria. Non posso non pensare ai piccoli martiri di Mosul, destinati a morire comunque: o come scudi umani o vittime di una crudeltà gratuita e cieca. Mi piace pensarli così, ora, liberi e vivi alla Presenza di Colui che senza, forse, saperlo hanno onorato con la morte.
Colpiscono alcuni particolari. In primo piano una bambina, splendida, sta guardando la corona di perle che si è appena rotta, forse nella colluttazione del martirio subito. Il volto, che tradisce una piccola delusione, si piega verso il monile strappato e lascia cadere lo sguardo sopra un taglio dell'abito bianchissimo proprio all'altezza del costato. Questa bimba è l'allegoria della Chiesa dei martiri che reca con sé i gioielli dello Sposo (il corallo, simbolo appunto della vita eterna) quale promessa di felicità, ma che contempla quella ferita (il costato di Cristo) per la quale la promessa diverrà realtà. Accanto a lei si solleva danzante una bolla di sapone, ve ne sono altre qua e là lungo il cammino, è il segno della fragilità dell'esistenza e dell'inconsistenza delle certezze umane. Se anche la vita dei bambini, carica di promesse e di futuro, non vale nulla agli occhi degli uomini, è un tesoro inestimabile agli occhi di Dio. Forse noi come Giuseppe, non ci avvediamo della grandezza di certi eventi, relegandoli pur con dolore, nella lunga lista della cronaca nera quotidiana. Ma Cristo li vede. Cristo ridesta persino la Madre, obbligandola con la sua manina a volgere lo sguardo verso questi piccoli martiri mentre, con l'altra mano porge loro delle spighe di grano. Sì, il martirio dei bambini è frumento macinato nel dolore per la fame di Dio nel mondo. Che la Madre di Dio ci ridesti a uno sguardo di fede più profondo, capace di vedere come certi eventi, nel dramma, ci stiano salvando.