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La festa

Salvatore Mannuzzu venerdì 1 novembre 2013
La festa non era solo dei singoli ma del paese. Con riti e faccende comuni a tutti: in ogni casa si cuoceva lo stesso dolce (più d'una festa aveva il suo speciale); e sempre se ne faceva parte a qualcuno. Si chiamava proprio così, «la parte»: e la vigilia s'incontravano per vicoli e strade non poche ragazze, o bambine, scialle in testa, che portavano compunte dei piatti coperti da bei lini. L'indomani tutti vestivano gli abiti della festa: i loro goffi poveri abiti della festa, indossati senza disinvoltura - a ricordarli danno una stretta al cuore. Il paese faceva sue le feste perché era un paese vero; capace d'una vita propria, allora: di proprie ragioni, di propri affetti, nei quali ognuno si riconosceva (malgrado le divisioni persistenti e i contrasti accaniti). Il dolce dei Santi erano i papassini («sos pabassinos», «saspabassinas»), fatti di farina impastata con uva passa e mandorle: e ricoperti d'una glassa bianca (la cappa), decorata da microscopici confetti multicolori (i diavolini). Nelle case restava il profumo del forno spento. Ma subito dopo pranzo cominciava ad arrivare il suono della campane a morto. La festa era finita. Sulle mensole dei caminetti, sulle cassapanche erano già esposte le fotografie con i lumini: le fiammelle si agitavano a un fiato d'aria novembrina.