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La demenza online non è uno showPaoloBenanti

Paolo Benanti giovedì 24 febbraio 2022
Una diagnosi di demenza può cambiare istantaneamente il modo in cui il mondo vede qualcuno. Questo stigma sociale ha un grande effetto: anche la famiglia e gli amici dei malati di demenza potrebbero scoprire che il mondo è in fuga da loro. Internet e le tecnologie digitali possono avere un ruolo duplice rispetto al vissuto di chi viene diagnosticato con questa patologia e dei suoi cari. Può aiutare a rendere più visibile la realtà del convivere con la demenza, e per alcuni è l'unico posto in cui possono connettersi con altri che attraversano la stessa sofferenza.
Ma Internet non è sempre un utensile, e a volte si rivela un'arma. In questi giorni numerosi commentatori fanno notare che l'hashtag #Dementia – strumento che si utilizza per parlare di un tema o categorizzare un contenuto – ha generato sulla piattaforma di brevi video TikTok 2 miliardi di visualizzazioni. I creatori di video producono flussi di contenuti sulle loro esperienze prendendosi cura di qualcuno con demenza in fase avanzata. Molti dei video più popolari sono di ispirazione o educativi. Ma tra questi è facile trovare video virali in cui i partner nell'assistenza – un termine che molti online preferiscono al termine "caregiver", più comunemente usato – prendono in giro i pazienti con demenza e inscenano intense discussioni con loro davanti alla telecamera. Chi abita questo social network non sembra avere alcuna idea delle implicazioni etiche nel rendere pubblici contenuti su qualcuno che potrebbe non essere più in grado di acconsentire a essere filmato. Nel frattempo, le persone che convivono con la demenza sollevano domande sul consenso e sottolineano i danni causati da contenuti virali che perpetuano gli stereotipi o travisano la natura della condizione. Kate Swaffer, cofondatrice di «Dementia Alliance International», gruppo di difesa dei malati di demenza i cui membri vivono con questa condizione, ha recentemente denunciato la cosa. A Swaffer è stata diagnosticata una demenza semantica a esordio giovane nel 2008, quando aveva 49 anni.
Questi video si inseriscono in un filone in cui la condivisione online riguarda contenuti di famiglia e influencer genitoriali. I bambini, che una volta erano protagonisti involontari nei feed dei social media dei loro genitori, sono cresciuti e ora ci dicono in maniera molto critica cosa pensano di come sono stati registrati. Ma gli adulti con demenza non sono bambini, e la loro capacità di acconsentire diminuisce man mano che invecchiano.
Internet, strumento che può aiutare i pazienti a vincere la solitudine, può anche trasformarli in una sorta di attrazione da circo. Come tutelare la dignità della persona di fronte a questi eccessi?