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La cultura resiste, ma il sociale è debole

Maria Romana De Gasperi venerdì 7 novembre 2014
Il discorso del Papa ai movimenti e gruppi impegnati nel sociale e nella solidarietà segna una data fondamentale per operatori, attivisti, associazioni di tutto il mondo e indica una strada, insiste sui sine qua non, sui compiti prioritari. C'è da augurarsi che sia letto e meditato anche dagli operatori sociali italiani e non solo da quelli di un mondo che è tornato a essere «terzo». Sono stato uno degli organizzatori del recente Salone dell'editoria sociale, pieno di incontri significativi sul piano culturale e di incontri invece deboli sul piano sociale: una disparità che mi ha molto impressionato. Continuo a pensare che la cultura, in quest'epoca storica e almeno in questa parte del mondo chiamata Europa occidentale e che si ritiene la vera Europa o il suo cuore, sia diventata un consumo tra i tanti, che consola e trastulla invece di tener desta l'intelligenza sulle cose di fondo e di stimolare a una conoscenza attiva, fattiva, o – se vogliamo – a un legame tra le idee e le azioni, tra il dire (lo scrivere, il leggere, il discutere) e il fare. Le tante, troppe fiere del libro sono ormai una forma della distrazione collettiva invece che uno stimolo alla conoscenza e sono semmai, neanche sempre, uno stimolo alla conoscenza che trascura del tutto – avrebbe detto l'Ulisse di Dante, e sembra dirci papa Francesco – la virtù. Gli incontri con la cultura che abbiamo voluto proporre nel Salone andavano in questa direzione, e sono stati molto più vivaci e propositivi di quelli col sociale... Orbene, il sociale arranca, sopraffatto in Italia dalla crisi (o agonia? morte?) del welfare, nelle strette dei "tagli" operati dai governi; e le associazioni, specialmente quelle più radicate e affermate, devono preoccuparsi non solo della condizione dei loro assistiti, anche di quella dei loro membri (a volta soprattutto di quella). Nel mentre, peggiorano le condizioni di vita di milioni di persone, e anzitutto degli "ultimi" – i malati, i disoccupati, gli immigrati – e tanti giovani bene intenzionati non vedono più di fronte a sé neanche la prospettiva di una povera ma onorevole sopravvivenza all'interno del "sociale", di fronte a un sistema di potere che appare sempre più crudele nei loro confronti: tutt'altro che disattento agli interessi dei meno, dei pochi, ma indifferenti a quelli dei più. Le parole del Papa sono state un invito a svegliarsi, a darsi nuovi compiti, più ardui di quelli di ieri, ma che oggi è indispensabile affrontare. C'è da sperare che servano non solo ai gruppi e movimenti lontani ma anche a quelli di casa nostra, e in definitiva a noi stessi.