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La corruzione e l'arte ipocrita del non fare

Goffredo Fofi venerdì 23 novembre 2018
L'idea del "ben fare" che compare più volte nella Commedia dantesca, compare molto spesso nei modi di dire recenti, contrapposta ovviamente a un "mal fare", ma anche, spesso, al "non fare". Facendo cattive azioni in un caso, reagendo con l'ignavia e l'inazione nell'altro. Il "non fare", il subire o il non reagire allo stato presente delle cose, ai costumi dominanti, contrapposto al "mal fare" dei potenti così grave, luttuoso e spesso mostruoso, ma anche a quello dell'ambiente in cui si vive, delle istituzioni che ci guidano e delle persone che sono vicine, è diventato un modo di essere diffusissimo, dominante. Ci si trincera nell'affermazione della propria unicità e del proprio piccolo gruppo, famiglia o colleghi, difendendosi dal mondo come si può. Se si tratta di egoismo singolo o di gruppo, cambia poco: la musica è sempre la stessa, la darwiniana "lotta per la vita" oggi presente in modi vecchi e in modi nuovi, e quelli nuovi dominano in quella parte di società (di pianeta) dove, nonostante tutto, si vive ancora bene o benino. Come in Italia, che, anche se tanta parte dei nostri connazionali si lamentano, non è un Paese povero, soprattutto se ci si confronta con la maggior parte delle altre nazioni. Nella nostra parte di mondo, e in Italia forse più che altrove, è venuto d'uso chiamare "ben fare" tutto ciò che non è "mal fare", comprendendovi un'enorme quantità di cose inutili, che lasciano il tempo che trovano o che servono ad aiutare gruppi o masse di persone a non pensare, a pensare a cose superflue o frivole, o anche serie ma nella sola veste di un consumo, di un "tempo libero", ma che non si pensa davvero a liberare. Dell'aiuto a non pensare invece che a pensare, come accade con la stragrande quantità di "cultura" che ci viene offerta, da cui siamo sommersi e che piacevolmente consumiamo o produciamo. Chiamiamo "ben fare", in definitiva, anche ciò che oggi non lo è più, che è né più né meno che "accettare", che contribuire alle odierne e nuove politiche del dominio, che subire le strategie del potere. Penso spesso a cosa avrebbero detto di questa situazione e di questo ipocrita e complice modo di intendere il "ben fare" coloro che un tempo il "ben fare" lo proponevano, e lo praticavano davvero: i Tolstoj e i Gandhi, i Martin Luther King e i don Milani (e si dovrebbe tutti rileggere e aggiornare il capitolo su "la ricreazione" dalle Esperienze pastorali) e, perché no?, i Lumumba e i Guevara, e scopriamo e imitiamo cosa dicono e fanno, dicono facendo, i non-accettanti di oggi in tanti e tanti Paesi meno complici e corrotti del nostro.