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L'Italia del vino vince all'estero

Andrea Zaghi sabato 21 gennaio 2012
Quattro miliardi di euro esportati nel 2010 sotto forma di bottiglie di vino: +14% rispetto al 2010. In un momento buio come quello che l'economia nazionale sta vivendo, sapere che le vendite di etichette nostrane nel mondo non solo hanno tenuto sui mercati, ma sono addirittura esplose è più che consolante. Soprattutto perché dietro i numeri vi sono imprese reali, occupazione e corretta gestione del territorio. Stando ai numeri, quindi, il bilancio da record dell'export del vino italiano, che si classifica come la voce più importante dell'export agroalimentare nazionale, non ha solo una valenza economica ma quasi «psicologica». Indica che esistono anche in agricoltura imprese che riescono a vincere.
Al di là dei numeri, poi, ciò che conta sono le sensazioni degli imprenditori e dei territori. E, secondo quanto raccolto direttamente nelle aree vitivinicole più importanti dello Stivale dall'agenzia specializzata Winenews, l'idea più diffusa è di un andamento positivo anche per il 2012. Così, almeno, la pensano i produttori piemontesi di Barolo e Barbaresco (il 60-70% di queste bottiglie prende la strada dell'estero), ma anche quelli di Valpolicella (80% esportato) che sottolineano come i risultati siano buoni anche per aziende più piccole e più giovani. Bene anche per un colosso di immagine e contenuto come il Brunello di Montalcino, così come per il Chianti di cui il 78% circa viene già venduto oltre confine. Al di là dei bilanci positivi, è ovvio che rimangono alcuni problemi da risolvere. Anche i vini italiani, per esempio, devono combattere non solo contro la concorrenza leale ma anche e soprattutto contro quella sleale delle false etichette. Proprio questa settimana è stato confermato il giro d'affari milionario della cosiddetta «agropirateria» che colpisce anche la vitivinicoltura. Rimane certamente poi il problema dei vini che non possono fregiarsi di etichette blasonate. Quelli che vengono venduti sfusi oppure che al massimo possono essere definiti «vini da tavola» o «intermedi». Si tratta di etichette che, nonostante il buon rapporto qualità/prezzo, non riescono ad avere una collocazione competitiva nei mercati. In questa fascia, in Italia, soffrono di più – è stato spiegato sempre da Winenews – quelli ottenuti dall'unione di uve internazionali rispetto a quelli che hanno un radicamento storico e territoriale e una spiccata riconoscibilità. Così come rimane la questione dell'andamento sempre più difficile del mercato nazionale, da anni in ribasso. Anche se, stando sempre agli osservatori del settore, l'importanza del mercato interno diventa assolutamente rilevante quando si vogliono «aggredire» i mercati internazionali, perché questi ultimi sono più reattivi se il mercato domestico garantisce visibilità e diffusione. Insomma, anche se i grandi vini in Italia vengono consumati più sporadicamente, il mercato interno resta fondamentale per la costruzione e l'affermazione dell'immagine aziendale, che poi viene spesa sulle piazze internazionali.