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L'insegnamento di La Pira e la vera ricerca della pace

Salvatore Mazza sabato 7 maggio 2022
Non è facile parlare di pace quando tutto il mondo sembra fare il tifo per la guerra. Non lo è mai stato. Giorgio La Pira, membro della Assemblea Costituente, sindaco di Firenze dal 1951 al 1965, tre volte deputato e ancora molto altro (tra cui anche “Venerabile” per la Chiesa cattolica, proclamato tale da Papa Francesco nel 2018), era uno che di pace parlava molto. E, soprattutto, faceva molto. Non fu capito. Siciliano, antifascista, fu Giovanni Battista Montini, all'epoca sostituto della Segreteria di Stato a nasconderlo quando la polizia fascista lo voleva arrestare. Nel 1958 andò a Mosca (d'accordo con il Papa, ma non col governo italiano) a parlare di disarmo in un memorabile discorso davanti al Soviet Supremo. Volle andare ad Hanoi, dove riuscì a stendere una bozza di trattato di pace insieme al leader nord vietnamita Ho Chi Minh, e a consegnarlo all'allora presidente Usa Lindon Johnson, che la respinse (e lo stesso La Pira, dopo l'accordo del 1973, avrebbe rivelato che le condizioni sottoscritte dagli Usa erano molto più sfavorevoli rispetto a quelle della sua bozza di otto anni prima. Non fu mai smentito da nessuno).
Questo, e le molte altre iniziative che aveva promosso in nome della pace, non gli valsero nessun riconoscimento. Nessuno, salvo Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI, lo incoraggiò mai, né lo sostenne. “Esaltato” era l'aggettivo più benevolo con cui lo si definiva, anche all'interno della Democrazia Cristiana, il suo partito. Ma anche “buffone”, o “scemo”, o anche “comunista bianco”, per le sue iniziative sociali intraprese, da sindaco, a favore dei disoccupati, degli sfrattati, dei poveri. Su La Pira e le sue “farse devote”, come le definì il settimanale tedesco Der Spiegel, fiorirono barzellette feroci. Lui lo sapeva, e d'altra parte, come disse il cardinale Giovanni Benelli durante il suo funerale 1977, «tutto si può capire di La Pira con la fede, niente si può capire di lui senza la fede». Un operatore di pace autentico, come lo chiamò Giovanni Paolo II nel messaggio per il centenario della nascita, nel 2004: «Amiamo pensare Giorgio La Pira definitivamente immerso nella contemplazione del Volto di Dio, quale cittadino di quella Gerusalemme del Cielo che tante volte indicò come modello della città terrena».
Lasciando da parte i molti che cercano di tenere il piede in due staffe, di veri operatori di pace, oggi, se ne vedono troppo pochi. Quasi nessuno. Quando invece ne servirebbero molti. E ognuno di noi può esserlo, cominciando dal raccogliere l'invito alla preghiera lanciato da Francesco domenica scorsa, che per questo mese dedicato alla Madonna ha esortato «tutti i fedeli e le comunità a pregare ogni giorno di maggio il Rosario per la pace». «Il pensiero va subito alla città ucraina di Mariupol, “città di Maria”, barbaramente bombardata e distrutta... Soffro e piango, pensando alle sofferenze della popolazione ucraina e in particolare ai più deboli, agli anziani e ai bambini. Giungono persino notizie terribili di bambini espulsi e deportati». E mentre assistiamo, ha aggiunto, «a un macabro regresso di umanità, mi chiedo, insieme a tante persone angosciate, se si stia veramente ricercando la pace; se ci sia la volontà di evitare una continua escalation militare e verbale; se si stia facendo tutto il possibile perché le armi tacciano. Vi prego, non ci si arrenda alla logica della violenza, alla perversa spirale delle armi. Si imbocchi la via del dialogo e della pace!». In questa logica Francesco s'è detto pronto a incontrare Putin, a Mosca. Dal Cremlino finora, nessuna risposta.