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L'Inno di Mameli tradito? No, oggi l'Italia chiama alla vita

Pier Giorgio Liverani domenica 10 maggio 2015
Ha sollevato una specie di scandalo la piccola modifica al testo "ufficiale" dell'Inno di Mameli cantato da un coro di bambini all'inaugurazione dell'Expo: «Siam pronti alla vita, l'Italia chiamò». Il testo autentico, si sa, scritto nel linguaggio carico della retorica spontanea e sincera del secolo XIX e del clima politico e patriottico dei tempi, dice «Siam pronti alla morte», tant'è vero che il giovanissimo Mameli morì davvero per la libertà, e quindi per la vita di Roma. Tuttavia, se è vero che gli uomini cambiano insieme alle condizioni e ai bisogni dei tempi in cui vivono, quel «vita» sostituito alla «morte» mi pare non un delitto né una «fuffa pacifista a buon mercato» (Fausto Carioti su Libero, domenica 3) e neppure mi pare che sia scandaloso mettere «in gioco la poetica del tempo (l'inno è del 1847) nel quale la morte, in senso civile e religioso, amoroso e poetico era un'invocazione costante» (Corrado Augias, la Repubblica, giovedì 7). Anzi, direi che proprio questo richiamo di Augias faccia cadere ogni caso di «leso Inno Nazionale» in un'Italia come l'attuale, satura di morte e così scarsa di vita: giustificano quella correzione innanzitutto i 120.000 aborti legali di ogni anno più i 30.000 clandestini, l'invenzione di un «diritto alla morte» insieme con la rivendicazione di un'eutanasia di Stato, gli omicidi e i femminicidi quotidiani (anche di bambini come quelli che hanno cantato «siam pronti alla vita», quasi una rivendicazione del loro diritto alla vita e, in ogni caso, un gesto di rispetto e di delicatezza verso i piccoli cantori del musicista Stefano Barzan, l'arrangiatore del testo di Mameli). A ciò bisogna aggiungere il calo delle nascite, la contraccezione, l'intercezione degli zigoti a rischio di aborto e la sterilità procurata. Quei bambini «pronti alla vita» danno anche una lezione a quei politici, a quegli ideologi e a quegli imprenditori che, sul diritto alla morte come conquista di dignità, costruiscono carriere politiche i primi e fonti di denaro i secondi. Quel «Siam pronti alla vita» è anche l'affermazione di un bisogno che, cantata dinanzi ai responsabili del Paese Italia, a milioni di telespettatori, a tutti i mezzi di comunicazione sociale e sulle note di una musica di Stato, andrebbe piuttosto applaudita come, per fortuna, molti hanno fatto e realizzata. Il giovane Goffredo Mameli, in definitiva, proclamava, con la sua morte, il diritto e l'attesa della vita. Oggi anche l'Italia chiama la vita. Su Il Giornale (domenica 3) la pagina 10 era divisa in due parti uguali. La metà superiore s'imponeva con questo grosso titolo: «Ma che tristezza quell'inno cambiato per il marketing», ma quella inferiore era occupata da un manifesto («Sì alla vita!») pubblicitario della «quinta Marcia per la Vita», che si svolge oggi pomeriggio da Castel Sant'Angelo a San Pietro.LO SGUARDO DELLA MADREA proposito di vita e di aborto: su Repubblica (venerdì 8) nella recensione di Benedetta Tobagi (la figlia minore del giornalista Walter,ucciso dalle Brigate Rosse) a un libro del noto psicanalista Massimo Recalcati, fa piacere leggere: "Contro ogni riduzione della maternità alla mera biologia, Recalcati sottolinea come essa […] Sia soprattutto una funzione simbolica (prospettiva che la svincola sia dalla semplice genitorialità biologica che dal sesso). […] Il tratto caratteristico della funzione materna è "la cura particolareggiata", ossia l' amore per la vita incarnata nell'unicità irripetibile del figlio. "Il desiderio della madre trasmette il sentimento della vita": attraverso le mani, il loro tocco amorevole, il loro sostegno forte, ma ancor più tramite lo sguardo".