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L’inaudito che fa malissimo allo sport

Mauro Berruto mercoledì 16 novembre 2022
È una vicenda talmente paradossale e inquietante da sembrare uno scherzo di pessimo gusto. Invece, purtroppo, scherzo non è. L’incredibile vicenda dell’arresto del procuratore capo degli arbitri Rosario D’Onofrio, ennesimo meteorite che si abbatte su un mondo che sembra ormai fare di tutto per testimoniare la sua non-credibilità e la sua distanza siderale dai tifosi veri, gente che non crede ai propri occhi di fronte a certe notizie. Ciò che risulta dagli atti dell’indagine fa emergere dettagli che sembrano scritti da un mediocre sceneggiatore, per esempio che D’Onofrio fosse stato promosso a procuratore capo degli arbitri proprio mentre era agli arresti domiciliari: nel 2020 era stato infatti condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione perché durante il lockdown «con la divisa militare – per evitare posti di blocco – circolava per la Lombardia per effettuare consegne di sostanza stupefacente». Che cosa aggiungere? L’Aia (Associazione Italiana Arbitri) con un comunicato stampa si dichiara parte lesa, in quanto non in grado di verificare la congruenza dei propri tesserati al proprio codice etico. Dunque, anche nella posizione più apicale dell’organismo di controllo della giustizia sportiva, basta un’autocertificazione per dichiarare che la propria fedina penale è pulita. Una storia che fa accapponare la pelle e nella quale – se le accuse verranno confermate – è bene ricordare che la parte lesa, senza discussioni, appare una sola: quella dei tifosi che dedicano ancora, donchisciottescamente, tempo e denaro a questa passione. “Rambo”, questo il nomignolo con il quale D’Onofrio era conosciuto negli ambienti dei trafficanti, pare gestisse il traffico di ingenti quantità di droga sulla rotta Spagna-Italia, gestendo i pagamenti ai fornitori spagnoli e organizzando una serie di riciclaggi attraverso una banda cinese che operava a Milano e, per completare, sembra fosse anche l’addetto ai pestaggi. Permettetemi di ricordarlo: Rosario D’Onofrio, scelto per essere il responsabile dell’ufficio che indaga su eventuali irregolarità degli arbitri. È tutto inaudito. Aggiungiamo che domenica inizieranno i Mondiali in Qatar, esito di un’assegnazione che fin dal primo istante ha sollevato sospetti (e prove) di corruzione e malaffare, la cui partita inaugurale si disputerà in uno di quegli stadi costruiti da operai arrivati da Pakistan, Bangladesh, India e trattati come schiavi, dove secondo una ricerca del quotidiano inglese “The Guardian” almeno 6.500 di loro hanno perso la vita. Uno spettacolo offerto da una nazione dove diritti civili e umani vengono quotidianamente calpestati e che, secondo un terrificante principio di “sportwashing” cercherà di ripulire la propria immagine grazie al
pallone e a un silenzio omertoso e connivente. È tutto inaudito, ripetiamolo. Grandi organizzazioni sportive afferenti al calcio e alcuni loro dirigenti sembrano l’orchestra che continua a suonare sul ponte del piroscafo, già schiantato contro un mastodontico iceberg. Proprio in questa settimana non riesco a essere ottimista, ma voglio ricordare che una moltitudine di persone rivuole indietro lo sport e il calcio, in particolare. Serve insistere sul valore educativo, inclusivo e di onestà dello sport. Perché così è, almeno nella stragrande maggioranza. Il resto non è che l’esercizio di potere, persino criminale, di chi vuole tutelare e difendere la propria specie, in spregio a milioni di persone che il calcio lo amano davvero. Quando quei “musicisti” smetteranno di suonare (presto o tardi succederà) per lo sport sarà un bellissimo giorno. © riproduzione riservata