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L'Europa e noi. Per far crescere la fiducia, proviamo ad informarci bene

Renato Balduzzi giovedì 13 luglio 2017
Non c'è leadership istituzionale o politica occidentale che in questi anni non abbia posto in testa al proprio messaggio comunicativo la questione della fiducia, cioè del patto da rinsaldare tra cittadini e istituzioni. Ultimo tra tanti esempi il discorso del neopresidente francese Macron a Versailles, nel quale la parola fiducia compare 15 volte. Tra le tante facce della fiducia, quella che ha per oggetto il funzionamento della giustizia è certamente cruciale. Ora, si ammette generalmente che una condizione importante per avere o non avere fiducia sia la conoscenza più obiettiva possibile del fenomeno sul quale essa va riposta. Può dunque risultare utile un'indagine in materia, la "Tavola di valutazione della giustizia nell'Unione europea", pubblicata dai servizi della Commissione europea, che permette di andare oltre alcuni luoghi comuni.
Dall'impietosa e "fredda" analisi che ci proviene dall'Europa, infatti l'Italia non esce complessivamente male. È curioso che sinora pochi se ne siano accorti, a causa forse del nostro ondivago rapporto con la Ue e con tutto ciò che ne deriva, come dimostrano alcune sterili e poco informate discussioni di questi giorni. Meritorie le considerazioni di uno che se ne intende, il prof. Guido Tabellini, circa la pericolosità per l'Italia di una flessibilità di bilancio che non si faccia carico della necessaria riduzione del disavanzo come strada obbligata per far scendere il fardello del debito. Le tre componenti principali di un effettivo sistema di giustizia che l'indagine individua - efficacia, qualità e indipendenza - vedono l'Italia in via di miglioramento quanto alle prime due (soprattutto grazie alla riduzione della durata media dei processi in settori euro-sensibili come marchi, telecomunicazioni e protezione del consumatore), mentre resta problematica l'indipendenza, non quella disegnata dalla Costituzione e dalle leggi (qui siamo, per certi profili, ai primi posti), bensì quella percepita: da notare che l'opinione pubblica e le imprese individuano tra le cause le ingerenze di governo e politica. A cosa dobbiamo il miglioramento su efficacia e qualità? A tanti fattori: cambiamenti legislativi di questi anni, riforma della geografia giudiziaria, crescita della cultura delle buone pratiche. Difficile negare che una parte importante del merito vada riconosciuta al personale giudiziario (magistrati e personale amministrativo), in particolare, alla capacità organizzativa di tanti capi ufficio. E siccome (per chiudere con un cenno a una polemica di queste ore) i capi degli uffici li nomina il Csm, forse un maggiore equilibrio nel valutare l'azione di questo organo costituzionale sarebbe auspicabile. Ma sul tema è bene siano altri a parlare.