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L'essenza della fede nella religiosità dei semplici

Maria Romana De Gasperi sabato 15 agosto 2009
Ci sono notti nelle quali non si riesce a dormire. Un pensiero che rinasce dal subconscio, un'idea, un problema, che ci si illude di risolvere nel buio e nel silenzio, che si presenterà poi al mattino con gli stessi interrogativi. Sono passate le tre della notte, la luna è sparita con i suoi misteri ai quali avevamo offerto, per secoli, canzoni e madrigali, rime fiorite d'amore o di pianto. Un'infinita letteratura sepolta sotto le prime orme esitanti e leggere dell'uomo che in un attimo ha distrutto i propri sogni. Di anno in anno la nostra mente, capace di fantasie audaci, ci spinge a rischiare sempre di più alla ricerca di quella realtà che è all'origine della vita, e a distruggere i vecchi misteri alla ricerca di nuovi da poter toccare e avere. «Vieni con me lungo il mare sotto i raggi della luna e ti dirò il mio amore» diceva una vecchia canzone che tradotta oggi potrebbe suonare così: «Siediti qui, c'è Sky che ci dà gli ultimi dati della sonda spaziale». Un diverso modo per dire ti amo. Bisogna abituarsi a questo anche se manca quel rapimento che dà un cielo pieno di stelle. Ma attenzione a non lasciarsi commuovere anche qui troppo facilmente: quell'astro luminoso che si muove è un satellite e se ti fermi per qualche minuto a osservare la tua parte di cielo notturno ti accorgerai che c'è ormai una corsa di satelliti che fanno a gara a chi è più veloce, a chi invia più notizie quasi combattessero per un premio. Adele, Arcadio, Elda, Amedeo. I loro nomi antichi sono in un giardino d'erba e di pietre attorno alla piccola chiesa che pare questa notte alzare il campanile con maggior vanto. Domani sarà festa e tutti porteranno fiori. Maria, Primo, Ida, Lorenzina. Essi avevano accettato Dio con l'umiltà e la speranza dei semplici, senza condizioni, in contrasto, come scrive Graham Greene, con la religiosità dei colti che hanno smesso di cercarlo perché ritengono di averlo trovato. Quei poveri che avevano una vita di fatiche nelle modeste case della valle, offrirono un giorno alla settimana di lavoro gratis per costruire la chiesa. Qui senza angoscia, senza incertezze, ma con passione nei loro cuori si erano trovati a pregare per la pioggia o per il sole, perché il tiglio fiorito fosse cibo alle api mentre ricordavano a Dio il nome dei propri cari, uno a uno e più volte affinché Chi era in cielo non li dimenticasse. La cultura e la storia hanno scavato incertezze nel nostro animo che infine crede solo nelle cose che si possono toccare. La grotta di Betlemme? Così coperta di sete e di lampade di stile orientale... forse è quella, o forse una vicina. Il velo della Veronica che un tempo veniva esposto in San Pietro? È stato ritirato, forse era solo dipinto quel viso di Cristo. La Sindone tenuta nel duomo di Torino? Gli scienziati ancora discutono sulla sua autenticità. Siamo ritornati indietro nel deserto con il popolo ebraico che perdeva la fede ogni volta che era abbandonato, anche per poco, da Mosè. Vogliamo toccare, ma niente viene offerto alle nostre mani e a noi viene chiesto molto da questo cielo che andiamo esplorando alla ricerca della nascita della vita in quell'armonia stupenda che è l'universo. Amedeo, Adele, Ida e tutti gli altri avevano risolto i loro problemi nei confronti dell'aldilà passando tra le mani ruvide dal lavoro dei campi, il rosario di legno e cantando le lodi del Signore.