Rubriche

L'autentica meta

Laura Bosio venerdì 30 novembre 2012
«"Occorre sempre essere di ritorno". "Anche senza essere andati da nessuna parte?" "È proprio lì il bello, amico mio"». In poche battute di dialogo, Antonio Machado ci ricorda che il viaggio, prima che uno spostamento, è una necessità. Non importa che si tratti di esplorazioni planetarie o spaziali, o di avventure interiori, o di fantasie nate a tavolino e sognate come vere. Viaggiare è un impulso, tornare all'autentica meta, e raccontare l'approdo naturale. Non è pensabile un viaggio senza parole, senza l'«oceano dipinto» evocato da Coleridge nella Ballata del vecchio marinaio: «Cadde la brezza, caddero le vele. / Un giorno e un altro, un giorno dopo l'altro. / Senza un alito, una scossa; / Fermi come una nave dipinta / Sopra un oceano dipinto». Un oceano in cui navigano tutti i viaggi e tutti i ritorni che si sono succeduti e mescolati. Quello di Flaubert nell'Educazione sentimentale: «Viaggiò. Conobbe la malinconia dei piroscafi, i freddi risvegli sotto una tenda, l'incanto dei paesaggi e delle rovine». O di Kerouac sulla sua Strada: «Urrà! Tutti eravamo felici, ci rendevamo conto che stavamo abbandonando dietro di noi la confusione e le sciocchezze e compiendo la nostra unica e nobile funzione nel tempo, andare». Avendo in mente la domanda di Melville nel Moby Dick: «Dov'è quel porto finale da cui non salperemo più?».