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L'AQUILA E LA TALPA

Gianfranco Ravasi martedì 27 gennaio 2004
Per nascere aquila bisogna abituarsi alle altitudini; per nascere scrittore bisogna imparare ad amare la rinuncia, le sofferenze, le umiliazioni. Soprattutto, bisogna imparare a vivere appartato. Come la talpa, lo scrittore si aggrappa al suo limbo, mentre sopra di lui la vita in rigoglio continua, persistente, tumultuosa. Scrittore statunitense "scandaloso", Henri Miller (1891-1980) ha rappresentato un modello di reazione, talvolta esagitata ed eccessiva, alla cultura piccolo-borghese. Dal suo "autoromanzo", come egli lo chiamava, Nexus (1960) ho estratto questo paragrafo che, a prima vista, sembra destinato solo agli scrittori. In realtà, tutte le autentiche scelte di vita richiedono un lungo apprendistato fatto di rinuncia, di sofferenze e di umiliazioni. È, dunque da recuperare in senso positivo quell'animale, la talpa, che ha acquistato ormai solo un'applicazione simbolica negativa. Stare un po' sotto terra, nel silenzio e nell'oscurità lasciando all'esterno il tumultuoso agitarsi di chi sta in superficie, non dev'essere certo una scelta di vita definitiva, se non in casi straordinari, ma indubbiamente è un'esperienza da praticare a scadenze regolari per riacquistare una carica interiore. Ama nesciri et pro nihilo reputari, suggeriva un autentico monito ascetico, ossia ama essere ignorato e considerato un nulla. Un appello che è ancor più valido in un tempo in cui conta solo la riconoscibilità, l'apparire senza essere, l'inganno mediatico. Ma nella frase di Miller irrompe anche l'aquila: «per nascere aquila bisogna abituarsi alle altitudini». L'idea è significativa: a furia di razzolare nel fango o di essere curvi sulle cose, ci si trasforma in esseri meschini. Bisogna saper levare più spesso verso l'alto la mente e il cuore per avere un'anima grande, pura e libera.