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L'apporto prezioso della cooperazione ai successi del vino tricolore

Andrea Zaghi domenica 7 gennaio 2018
Il vino italiano macina ormai successi in tutto il mondo. Nel corso del 2017 le sole esportazioni sono cresciute fino a 6 miliardi di euro. Un tesoro da curare, dunque, che tuttavia dà molto spesso buona prova anche in ambiti inaspettati come quello della cosiddetta economia circolare. Se poi ci si mette di mezzo anche la cooperazione, allora davvero il cerchio virtuoso si chiude con risultati di pregio.
È il caso di Caviro, cioè della coop vitivinicola più importante del Paese. L'azienda faentina (13mila soci conferitori, 32 cantine sociali, un prodotto interamente italiano che nasce in 37mila ettari di vigneti, tracciato al 100%) ha investito circa cento milioni di euro per la creazione di un sistema per recuperare completamente gli scarti di lavorazione dell'uva e delle potature. Detta in parole semplici, delle 171mila circa di tonnellate di rifiuti in uscita, solo l'1% va in discarica. Il resto – cioè praticamente tutto –, finisce in meccanismi virtuosi che coinvolgono almeno quattro ambiti diversi: l'estrazione di polifenoli dai vinaccioli (per uso enologico ed alimentare), oltre che di enocianina e acido tartarico (sempre per gli usi enologici), la conquista dell'autosufficienza energetica e lo sfruttamento delle rinnovabili; il recupero delle acque e la creazione di compost, anche per le culture biologiche. Il risultato non è solo un'attività produttiva compatibile con l'ambiente, ma anche il quasi azzeramento della dipendenza da fonti energetiche convenzionali. Buon bilancio accanto ad una forte sostenibilità ambientale, dunque. E a dimostrarlo stanno proprio i risultati economici con 304 milioni di fatturato consolidato, soci sparsi fra Abruzzo, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Marche, Puglia, Toscana e Sicilia, che conferiscono ogni anno l'11% dell'uva italiana. Oltre che alcune posizioni di primo piano nei mercati nazionali ed esteri (Caviro detiene il primo marchio italiano in Italia, Germania, Giappone, Russia).
Così, se per il futuro del vino italiano innovazione scientifica, ricerca genetica e sostenibilità sono le nuove parole d'ordine, insieme a strategie commerciali sempre più complesse e aggressive, in campo e in cantina ci si muove già da tempo. Poi certo, c'è tutto il resto che fa il buon nome della vitivinicoltura nazionale nel mondo e di quella cooperativa in particolare. Basta pensare che le cantine cooperative sono 498, che riuniscono ben 148mila soci produttori, danno lavoro a novemila persone e soprattutto hanno un giro d'affari pari a 4,3 miliardi: il 40% del totale del fatturato vino nazionale.