Rubriche

L'altro 11 settembre (un lungo viaggio clandestino)

Mauro Armanino martedì 13 settembre 2016
C'erano due sedili liberi e li hanno occupati senza troppo guardarsi attorno. Il treno Regionale tra Milano e Savona è partito con un leggero ritardo questa domenica 11 di settembre. Strada facendo erano in molti ad attraversare lo scompartimeno con il condizionatore rotto. Eritrei di origine e visibilmente complici della stessa fuga verso la libertà. Da quindici giorni in Italia, si dirigono verso Savona. Da lì sperano di raggiungere ciò di cui hanno tanto sentito parlare. Chiedono dov'è Ventimiglia e se è lontana da Savona e sanno che è difficile passare dall'altra parte.Vedo gli stessi migranti e rifugiati che vediamo a Niamey. Solo che invece di tornare a casa tentano la scalata dell'altro mondo. In ogni caso Bahlbi è perentorio e in Eritrea non tornerà. È scappato da lì dopo il servizio militare, con la fidanzata diciottenne che non parla l'inglese, lingua che ci permette di comunicare. Non farà ritorno nel Paese che lo ha visto nascere e poi gli ha rapinato la vita ogni giorno sulle frontiere della guerra con l'Etiopia che, lo sa, non finirà mai. Dice che a Asmara i più anziani parlano ancora l'italiano e pure lui conosce un paio di parole nel caso gli domandassero come si chiama. Per fortuna non si è visto il controllore, almeno fino a Genova Principe.Nel treno Frecciabianca non c'era a bordo nessun migrante. Posti numerati e viaggio silenzioso, rapido, efficiente e con la presa per collegare il computer ed eventualmente ricaricare i cellulari. La stratificazione della società italiana si rivela, tra l'altro, nei treni, una lotta di classe che non dice il suo nome. Basta poco e quest'altro viaggio si trasforma in tempo guadagnato, venduto e infine perduto nell'aria condizionata che funziona. L'altoparlante che recita le stazioni e passa gli annunci è chiaro, e la voce suadente e conscia della clientela a bordo. Le coincidenze vengono di solito rispettate, e sfilano i Frecciarossa, e l'Italo aspetta il segnale di partenza. Un bel Paese davvero, che funziona a seconda delle classi persino in fila di attesa. Ognuno legge qualcosa e sfoglia l'immancabile tablet o simili amenità per comunicare in tempo molto reale con i lontani. Tra vicini in genere non ci si guarda neppure, e solo partendo, a volte, ci si augura il buon viaggio di sfuggita. Si scende, l'aria trasognata di chi ha vissuto l'esperienza di privilegio in un mondo di esclusione a forma di biglietto con prenotazione. Carrozza 06 posto 1D finestrino.Bahlbi e Mebrati sono prima passati in Etiopia e poi in Sudan. Pagando caro hanno raggiunto le coste libiche e poi saldato il conto per il viaggio in mare fino alla Sicilia. Nel gommone erano un centinaio, e Bahlbi dice di aver avuto tanta paura di non farcela. Figurarsi se lo spaventa Ventimiglia, adesso che ha buttato in mare i suoi documenti. Da buon cristiano ortodosso che porta la croce sotto la maglietta, pratica il detto di chi ha messo mano al viaggio e non si volta indietro neanche fosse per l'aratro lasciatogli dal padre. Lui e gli altri sanno bene cosa succede alla frontiera, con Facebook sono al corrente persino dei rimpatri forzati. Non torneranno indietro, il cammino percorso si è già cancellato col vento e la sabbia che giocano da mattina a sera. Passa una signora e deposita sulla mensolina un biglietto stampato e fotocopiato di colore verde: «Signore e signori. Scusatemi per il disagio, ho bisogno d'aiuto, non ho lavoro, ho due figli, non ho una casa, per piacere datemi una piccola offerta, oppure un buono pasto, io vivo di questo. Dio vi benedica».È tornata poco dopo a ritirare il biglietto ed è poi scomparsa nell'altra carrozza con la climatizzazione funzionante. Era l'11 di settembre, una domenica pomeriggio nel Regionale Trenitalia tra Milano e Savona. La fidanzata di Bahlbi, intanto, cantava sottovoce.Genova, 11 settembre 2016