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Jansons e il «Requiem» di Dvorák Il segreto di un'esecuzione perfetta

Andrea Milanesi domenica 25 luglio 2010
Sono diversi gli elementi che concorrono a rendere perfettamente riuscita l'esecuzione di una pagina musicale complessa e articolata come il Requiem op. 89 di Antonín Dvorák (1841-1904). C'è la componente tecnica, innanzitutto, quella richiesta alle compagini corali e orchestrali per quanto riguarda la precisione degli attacchi, l'articolazione del fraseggio o l'emissione della voce, ma anche ai cantanti solisti, che devono spesso uscire allo scoperto e portare sulle proprie spalle lo svolgimento di intere arcate dell'opera; ma è soprattutto necessaria un'intenzione interpretativa che si spinga ben oltre la semplice analisi della partitura per avvicinarsi il più possibile all'origine del pensiero creativo del compositore e alla sua più intima dimensione trascendentale.
Tenuto conto di tali molteplici fattori, si può dunque definire pienamente compiuta la lettura che di questo capolavoro sacro ci viene offerta dal direttore Mariss Jansons, a capo dei Wiener Singverein, della Royal Concertgebouw Orchestra e di un ottimo quartetto vocale di cui fanno parte Krassimira Stoyanova, Mihoko Fujimura, Klaus Florian Vogt e Thomas Quasthoff (2 Super Audio CD pubblicati da RCO Live e distribuiti da Codaex).
Per ben capire quale sia lo spessore di questa incisione sarebbe sufficiente soffermarsi su due singoli episodi, che sono in grado da soli di gettare luce sullo spirito con cui Dvorák ha affrontato il testo della Liturgia dei defunti: da un lato il suggestivo Tuba mirum, che sembra quasi allargare all'infinito il tono generale di eroica solennità e sereno abbandono con cui l'autore ci invita ad avvicinarci al Giorno del Giudizio; dall'altro la prima parte della sezione dell'Offertorium, quel Domine Jesu Christe caratterizzato da un diffuso clima consolatorio, grave ma mai disperato, che affida a una visione di lucida positività la preghiera d'intercessione affinché il Redentore liberi dalle pene dell'inferno tutte le anime bisognose della Sua misericordia. Perché risiede proprio qui il grande merito di questa elettrizzante esecuzione dal vivo: far emergere dai righi del pentagramma la spontanea testimonianza di fede di un artista che nel disegno insondabile del Mistero vede sempre riflessa una luminosa prospettiva di salvezza.