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Ivan Illich, voce critica dalla parte dei poveri

Gianni Gennari sabato 12 agosto 2023
Ivan Illich, nato in Austria nel 1926, ma dal 1930 in Italia: prete,
sociologo, filosofo, teologo, psicologo, capace di sentire in anticipo i movimenti della società. Padre cattolico, madre ebrea. Studia prima a Firenze, cristallografia, psicologia, storia dell’arte e poi, fattosi cattolico, a Roma filosofia e teologia. A 25 anni è sacerdote. Si laurea anche in filosofia della storia a Salisburgo. Affascina: bello, colto, grande parlatore. Ha davanti, dicono, una brillantissima carriera in Vaticano. Gli propongono la carriera diplomatica, ma dice no e se ne va a New York, in una parrocchia povera di emigrati portoricani. Già conosce 8 lingue, aggiunge lo spagnolo. Poi arriveranno a 13, possedute alla perfezione. Studia i problemi degli immigrati e apre nuove vie alla sociologia. Nel 1955 il cardinale di New York, Francis Joseph Spellman, lo vuole pro-rettore dell’Università di Porto Rico. A 30 anni è il più giovane monsignore del Nord America. Pensa, si interroga, interroga: sul ruolo degli Stati Uniti tra i poveri del continente. Anche su quello della Chiesa… Viaggia, studia, scrive. Si stabilisce in Messico, a Cuernavaca, dove fonda il Cidoc, il Centro di documentazione per la preparazione del clero ai problemi dell’America Latina. Critica governi e istituzioni, la stessa Chiesa nei suoi aspetti burocratici. Nel 1968 lo chiamano al Sant’Uffizio per interrogarlo, ma rifiuta di riempire i questionari. L’anno dopo si dichiara “prete in congedo”: resta nella Chiesa, ma non “fa” più il prete. Pensa, scrive, analizza. Collabora a lungo con monsignor Helder Camara, in Brasile, e con monsignor Mendez Arceo, a Cuernavaca. Pubblica a raffica: contro la medicina che dice di curare e genera nuove malattie, “Nemesi medica” (1976). Contro la scuola, che reprime fantasia e creatività, per produrre robot obbedienti, “Descolarizzare la società”. Contro il sistema dei trasporti, che paralizza i movimenti veri degli uomini. Studia società e culture, scuola e repressione, ambiente e libertà, medicina e diritti umani… Ecologia e globalizzazione,












burocratizzazione della vita, della sanità. I suoi scritti, lucidissimi e taglienti – anche “L’espropriazione della salute”, “La convivialità”, “Lavoro ombra”, “Disoccupazione creativa”, “Genere e sesso” – mostrano in anticipo dove si sta andando, e il male che ne verrà. Attacca il sistema di uno sviluppo che moltiplica i poveri, il consumismo che produce bisogni falsi e artificiali, le multinazionali che schiavizzano popoli interi. Dicono che è “catastrofista”, ma i fatti gli danno ragione. Un “no global” in anticipo, con l’occhio penetrante del genio, e gli strumenti dell’analisi a tutti i livelli. Uomo di frontiera, intellettuale senza confini, contro ogni illusione prometeica che invece di liberare schiavizza, invece di ripulire sporca e corrompe tutto: aria, acqua, pensieri, desideri, sogni… Ha portati i suoi spunti critici in tutto il mondo, instancabile viaggiatore. Hanno tentato di farne un divo alla moda, ma ha sempre reagito, difendendo libertà e fantasia, poesia e creatività per tutti, un modello che ha chiamato “Conviviale” di vita umana. Ne siamo ancora lontani. Cristiano fino in fondo, a modo suo. Malato di cancro alla faccia, ha continuato a lavorare sempre. È morto a Brema, in Germania, dove insegnava ancora, il 2 dicembre 2002. Convivialità e compassione: delle anime e dei corpi, degli ammalati e dei sani… Negli ultimi anni ha sofferto molto, ma non si è mai tirato indietro. Un precursore? Il problema è che diventarne discepoli è difficile. A parte l’intelligenza che servirebbe, è parecchio scomodo. Gente come lui serve sempre: sentinelle nel nome dell’uomo e se si vuole, per lui anche di Dio, il Dio di Gesù Cristo, che non ha mai negato. © riproduzione riservata