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Innominabile e attuale, ma anche ambiguo: il pensiero di Calasso

Cesare Cavalleri mercoledì 4 ottobre 2017
Il titolo del nuovo libro di Roberto Calasso, L'innominabile attuale (Adelphi, pp. 192, euro 20) è un'autocitazione da La rovina di Kasch (1983) dove figurava a p. 318, preceduto e seguito da spazi bianchi.
Nel nuovo libro è come in esergo, preceduto da una quasi spiegazione: «La sensazione più precisa e più acuta, per chi vive in questo momento, è di non sapere dove ogni giorno sta mettendo i piedi. Il terreno è friabile, le linee si sdoppiano, i tessuti si sfilacciano, le prospettive oscillano. Allora si avverte con maggiore evidenza che ci si trova nell'“innominabile attuale”».
Per come conosciamo Calasso dai suoi libri, questa sensazione dovrebbe fargli piacere, essendo egli, con Léon Bloy – suo autore di riferimento –, auspice di una dissoluzione (culturale e sociale) che faciliterebbe l'irruzione di un'Età dello Spirito che potrebbe anche essere l'avvento dell'Anticristo. Invece quell'esergo, tutto in corsivo, sembra esprimere un disagio: forse Calasso si è accorto di essersi spinto troppo in là, e concede al lettore un accenno di autocritica?
Il tema del sacrificio assilla Calasso. Nel mito, il regno di Kasch è andato in rovina quando i sacerdoti hanno smesso di compiere il sacrificio rituale che prevedeva l'uccisione del Re per propiziare il benessere del popolo. Anche da qui l'impazienza di Calasso verso il cristianesimo che, nell'Eucaristia, ha reso incruento il sacrificio. Ma questo stava nei libri precedenti. Nel nuovo, si ragiona di sacrificio e terrorismo, senza simpatia per i terroristi: «Sacrificio e terrorismo confluiscono in un punto: la scelta della vittima. Nel sacrifico sarà un esemplare integro, immacolato, di particolare bellezza – o altrimenti un essere qualsiasi, intercambiabile. Nel terrorismo può essere chi ha il potere – o altrimenti chiunque si sia trovato in un certo momento in un certo luogo. Sono due vie: divergenti e compresenti: l'elezione e la condanna».
Sempre nel nuovo libro, leggiamo che il sacrificio è stato sostituito dall'esperimento che «non è soltanto quello che ha luogo ogni giorno nei laboratori – e già questo ne indicherebbe la dimensione immane. Ma esperimento è ciò che ogni giorno la società compie su sé stessa. E qui l'ambivalenza della parola diventa ancora più chiara, perché i due supremi sperimentatori sociali del secolo ventesimo furono Hitler e Stalin. Non a caso Lenin evocava gli “ingegneri di anime”». Come non essere d'accordo? Ma Calasso vuol essere preso alla lettera, o alla lettera aggiunge, per sé e per i suoi, un sovrasenso gnostico esoterico?
Calasso prende le distanze dal secolarismo, anzi, irride l'homo secularis, «raffinato e complicato prodotto dell'evoluzione e della storia. Ma ciò non vuol dire che sappia chi è né cos'è il mondo davanti a lui». Ed è sarcastico con chi si riconosce nell'acrostico SBNR (Spiritual but not religius; spirituale ma non religioso): come si può essere spirituali prescindendo dal religioso?
Lo stile di Calasso è molto affascinante e non procede per argomentazioni logiche o filosofiche: è un mosaico di citazioni coltissime, debitamente virgolettate, elencate come “Fonti” nelle note: si va da Nietzsche all'amato Burckhardt, a Simone Weil, a Leibniz, Céline, Malebranche, Benjamin, Brasillach, Vassiltchikov, con sopravvalutazione (o disprezzo) del lettore che ben difficilmente andrà a controllare gli originali. Insomma, la scrittura di Calasso è all'insegna dell'ambiguità, perché non si capisce mai bene fino a che punto Calasso condivide le sue devote citazioni. Recensendo La rovina di Kasch sulla “London Rewiew of Books” il 26 gennaio 1995, Malcom Bull così concludeva: «Forse il brivido che si prova alla lettura non è tanto quello di una storia poliziesca, quanto di un romanzo del genere horror: alla fine ci si rende deliziosamente conto che ciò che il tuo affascinante ma elusivo compagno vuole è affondare i suoi denti nel tuo collo». Non si potrebbe dir meglio, e vale anche per l'Innominabile attuale.